En attendant Godot
L’investimento speculativo sostenuto dai banchieri a discapito dell’economia reale ed il neoliberismo applicato nelle fabbriche si sono trasformati in un incubo. Le grandi banche, dopo aver sanato le perdite dovute alle avventure finanziarie da loro stesse alimentate, con l’intervento dei governi che hanno scaricato il peso del money manager capitalism sulle spalle dei cittadini, hanno chiuso i cordoni della borsa. Adesso pretendono che gli Stati rientrino velocemente nei parametri stabiliti riducendo i propri debiti, impedendo così ai Paesi già privati di sovranità monetaria di spendere a deficit per produrre ricchezza. Di qui la serie infinita di tagli alla spesa pubblica, welfare incluso, e conseguente aumento della povertà. Le piccole imprese con problemi di liquidità finiscono per soccombere. Quelle più grandi, dovendo essere competitive sui mercati internazionali, comprimono i costi del lavoro e mirano ad ottenere la massima produttività delle maestranze. La corsa globale comanda norme di concorrenza prevalentemente nell’area dei fattori produttivi più fragili, ad iniziare dalla forza-lavoro L’Italia è ingabbiata dall’euro e dai connessi patti di stabilità. Come se non bastasse, ha pochi grandi imprenditori, soprattutto avvezzi a spartirsi la torta dei finanziamenti pubblici e a contare sugli aiuti di Stato per produrre ed innovare. I dobermann dell’Ue non ci perdono di vista. Proprio ieri il presidente della Bce Jean-Claude Trichet ha chiesto riforme strutturali molto decise e continuative per rilanciare la nostra bassa produttività lavorativa. Avrà solo voluto spezzare una lancia in favore di Sergio Marchionne? Del resto anche il solito inossidabile gag-man ritiene giusto che Mirafiori venga abbandonata al suo destino in caso di un esito “negativo” del referendum imposto dall’a.d. della Fiat. Siamo finiti sotto la tutela di organismi finanziari privati, come il Gbm, la Fed, il Fmi, il Wto, la Bce e numerosi Think Tanks, che dirigono le economie mentre i governi ed i parlamenti, beetle-brains funzionali ai poteri forti, producono indebitamenti, svendono patrimoni comuni, riscuotono tasse, ma non si occupano di emergenze sociali. I governi “progressisti” hanno osteggiato la nazionalizzazione della Banca d’Italia ed hanno consegnato il Paese nelle mani della finanza anglo-americana. Ma chi è rimasto a credere che Berlusconi abbia trattato la vicenda della dismessa Alitalia per tenere alta la bandiera tricolore o che commerci con Gheddafi e Putin per affrancarci dalle servitù energetiche consolidate illo tempore? Le decisioni economico-politiche sono proprie di poche superpotenze, assoggettate ad oligarchie elitarie, tecnocratiche e repressive. Le grandi corporations controllano sia i cicli del mercato che la borsa mondiale. Il diritto internazionale è ormai subordinato alle volontà incontrastabili di banche e finanza. Il General Agreement on Trade in Services, un trattato dell’Organizzazione Mondiale del Commercio entrato in vigore nel 1995, parallelamente all’accordo per l’abbattimento dei dazi nazionali, è sottoscritto anche dall’Italia. In questo quadro i partiti politici si sono posti al servizio di intoccabili e giganteschi interessi privati. Il turbocapitalismo domina i processi di globalizzazione dall’alto dei “palazzi” di Londra, Francoforte, New York, Washington, Shanghai, etc. La stessa Europa non fa che generare organi di controllo economico sottratti a ogni valutazione popolare ed investiti di poteri assoluti. Le aspirazioni dei “progressisti” sono andate deluse e l’attuale governo conservatore ha dato il colpo di grazia a ogni pur minima speranza di una più equa redistribuzione del reddito. Con la crisi che ha travolto l’Occidente sono aumentate le fusioni tra colossi ed i grandi hanno divorato i piccoli. Il Popolo, ingannato dai media più potenti e dall’omertà che lega quasi tutti i soggetti politici, continua a vivere prigioniero del più grande reality mai realizzato nel corso della storia. Romano Prodi si gode un “pensionamento” dorato; Silvio Berlusconi, quando e se deciderà di mollare la presa, potrà ritirarsi ad Antigua; Gianfranco Fini suggerisce ulteriori spoliazioni pubbliche per sanare il deficit statale; gli avvoltoi fanno giri sempre più stretti sulle carcasse rimaste da spolpare. Il Pd, dopo una serie infinita di inconfessabili inciuci, senza neanche aspettare l’aiuto dei nuovi rottamatori abbagliati dalle luci di Arcore, continua a liquefarsi. Il “canadese”, che tiene a cuore le sorti degli operai, preferisce mantenere la sua residenza fiscale in Svizzera, dove paga in tasse un’aliquota del 30%, anziché quella italiana del 43%. Insomma chi può si tiene ben lontano dai sentieri della virtù sempre invocati dallo zelante Trichet. Riandando col pensiero al vecchio operaio che, fuori dei cancelli dello stabilimento torinese, piange sul divide et impera lasciato cadere sui suoi colleghi, nell’attesa surreale dell’ora del giudizio, ci sovviene qualche verso di G.G. Belli: “Eh! ppanza piena nun crede ar diggiuno. Fidete, fija io parlo pe sperienza. Ricchezza e ccarità sò ddù perzone che nnun potranno mai fa cconoscenza”.
Antonio Bertinelli 14/1/2010