vecchi pensieri 124 (Lo zio Sam piange, ma l’Italia non ride)

Lo zio Sam piange, ma l’Italia non ride

Con l’avvento della Seconda Repubblica abbiamo assistito al declino industriale, al perfezionamento della predazione dei settori pubblici, all’incoraggiamento dell’evasione fiscale, alla promozione del casinò della finanza, alla precarizzazione del lavoro e al forte ridimensionamento del welfare. Il centro-sinistra, quello che illo tempore ottennne l’investitura e la benedizione di Washington, ha sposato le logiche del neoliberismo, non ha mai messo in discussione la visione monetarista di Bruxelles e la totale autonomia della Bce o guardato alle vere cause del debito pubblico fino ad oggi maturato. Malgrado l’Italia spenda molto meno di altri paesi europei per la scuola, l’università, la ricerca, la sanità, la famiglia ed i sussidi di disoccupazione la vulgata, politicamente bipartisan, vuole che il deficit dipenda dagli eccessi della spesa sociale, ma nessuno, a prescindere dal colore della maglia indossata in Parlamento, è andato mai oltre le chiacchiere propiziatorie per i sessanta miliardi bruciati dalla corruzione, per i centoventi miliardi di evasione fiscale, per i trecentocinquanta miliardi fatturati dall’economia illegale, per il fardello del parassitismo che grava su coloro che non fanno parte della “casta” o della rete di traffici che con essa si rapporta. Le finte opposizioni lasciano credere che un esecutivo autorevole, diverso da quello in carica, potrebbe aiutare l’Italia a non subire assalti speculativi, dimenticando che proprio i loro illustri mentori hanno spianato la strada alla finanza d’avventura, all’insindacabilità dei mercati, al modello di sviluppo del debito pubblico insostenibile. Dallo sdegno per il governo delle camarille non discende automaticamente la credibilità di chi si definisce diverso invocando riforme mai chiaramente esplicitate per uscire dalla spirale costituita dall’inevitabile recessione e dai maggiori tassi pagati sui titoli che servono sia a finanziare il debito che a pagare gli interessi su di esso maturati dai creditori. Nessun esecutivo ha mai messo sotto la lente gli utili di banche e grandi imprese o si è opposto al massacro sociale imposto dalle compatibilità economico-finanziarie dell’euro mentre il 10% del Pil si trasferiva dai lavoratori dipendenti ai titolari di rendite e di profitti. L’Italia è rimasta prigioniera dell’Ue, a sua volta subalterna del turbocapitalismo globale, perdendo in termini di occupazione e di diritti sociali. Senza indulgere nei confronti di cialtroni ed affaristi privi di scrupoli, specialmente per quelli saliti alla ribalta dopo Tangentopoli, bisognerebbe chiedersi come mai l’ex commissario europeo Mario Monti, già membro della Commissione Trilaterale, del Comitato Esecutivo Aspen e gradito ospite del Gruppo Bilderberg, si sbilanci nel dichiarare che il Governo Berlusconi è sotto tutela internazionale. Iniziando il conteggio dal Colle, sollecito pungolo di qualsiasi collaborazione a prescindere, il Paese non sembra annoverare molti politici ed economisti liberi da guinzagli, specialmente da quelli del centrismo finanziario di stampo anglo-americano. Anche se l’illusionista di Arcore ha fatto strame dell’Italia e della sua Costituzione, ci sia consentita qualche riserva su chi lo critica senza possedere i requisiti minimi dell’indipendenza di giudizio. E questo vale tanto per qualunque giornalista ci partecipi le miserie di corte quanto per un ex premier, attuale senior advisor della Deutsche Bank. Fino ad oggi la marcia della locomotiva economica tedesca è stata garantita dalle defaillances dei paesi più deboli dell’Unione verso i quali si indirizza il 50% delle sue esportazioni. Solo en passant, tanto per capire il vero spirito che anima l’Ue, va ricordato che la Deutsche Bank, tra le più importanti a livello mondiale, è stata la più sollecita nell’alimentare l’allarme sulla crisi greca tanto da pilotarne gli esiti, è stata la prima a liberarsi dei titoli italiani. L’assalto al nostro debito pubblico non ha molto a che vedere con l’inverecondia di chi governa e la pretesa moralizzazione di Bruxelles . Era nell’ordine delle cose che, in assenza di sovranità monetaria, dopo Grecia, Irlanda e Portogallo, prima o poi, sarebbero arrivate nuove cure anche per il Belpaese. Nel 1981, mentre Ronald Reagan prestava giuramento come presidente degli Stati Uniti, dichiarò: “Il governo non è la soluzione dei nostri problemi. Ne è la causa”. Con il passare del tempo abbiamo visto come è finito il sogno dei nord-americani, quello garantito agli inglesi da Margaret Thatcher e quello dei paesi in cui i fans degli assiomi neoliberisti hanno fatto carriera. S’intravedono ancora le macerie dovute dapprima al divorzio tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro avvenuto nel 1981, poi alle scelte degli “europeisti” che fin dal 1992 alienarono a prezzo di saldo gran parte del patrimonio nazionale per entrare nell’euro, in uno schema continentale culturalmente eterogeneo, economicamente squilibrato e comunque aprioristicamente ingessato. Sono gli stessi che, tanto per fare un esempio, fanno finta di non ricordare la sorte riservata alla Telecom, con i suoi elevati livelli occupazionali, un servizio ineccepibile, che macinava utili ed aveva cento miliardi di lire nei suoi forzieri. Sono gli stessi che ancora oggi sono a proporre le analoghe ricette di allora. Nell’interesse degli Italiani s’intende. Forse serve ricordare che, dalla data d’introduzione dell’euro al 31 dicembre 2010, l’incremento dell’indebitamento medio delle famiglie è stato pari al 131%. Lo spettro dell’apocalisse finanziaria dipende solo marginalmente dalle molteplici devastazioni prodotte da Berlusconi e soci. L’emergenza debito mira a saccheggiare quello che resta dei patrimoni pubblici e sappiamo bene che l’unto non ha la stoffa dell’eroe. Così come ha mandato i bombardieri in Libia, così si adeguerà agli ultimi ordini della Bce. Bersani si lamenta della secretazione relativa alle condizioni poste dall’Eurotower al duo Berlusconi-Tremonti per l’acquisto dei titoli italiani, ma lui, che sicuramente è diverso, potrebbe affrancarsi dalle intimazioni dei mercati e delle banche? La parola austerità, che a volte può sembrare neutra, in realtà si palesa, e con qualunque governo fantoccio, nella schiavizzazione di un popolo costretto a pagare debiti inesigibili fino all’intervento dei soliti istituti liquidatori internazionali. Sulla futuribile crescita economica, sulla sua stessa natura, sui parametri idonei a valutarla, ci sarebbe molto da discutere, comunque, dato che ci troviamo nella condizione di dover pagare interessi insostenibili sul debito, è verosimile ipotizzare che in futuro il Fmi possa incoraggiare la creazione di un fondo pagato da Pantalone per finanziare i soggetti interessati alla spoliazione definitiva dei patrimoni comuni. Se oggi o domani il banchetto lo preparerà un emissario dei Rothschild o un dipendente di Goldman Sachs, se lo preparerà e vi parteciperà Berlusconi con i suoi amici o qualche suo degno erede, per i fuori “casta” non ci sarà differenza. Il male più evidente riguarda i rapporti che uno Stato privo di sovranità e di un esercito idoneo alle bisogna può intrattenere con forze della finanza mondiale, le cui capacità sopravanzano quelle produttive dello stesso Paese e che sono dunque in grado di condizionarne le scelte in qualunque frangente. In questa situazione l’impossibilità di poter contare su una classe dirigente degna si trasforma in un handicap insuperabile. Prenderne atto, di crisi in crisi, potrebbe rivelarsi funzionale a condurre i popoli, defraudati ed impauriti, nell’accettazione supina di un più avanzato assetto tecnico-politico globale. Quanta gente oggi si libererebbe, ad occhi chiusi, senza alcuna remora, senza chiedersi nulla sui requisiti del successore, non solo di un istrione brianzolo, ma anche di un Cameron, di un Papandreou e dello stesso Obama?

Antonio Bertinelli 8/8/2011 

Pubblicato da antoniobertinelli

Melius cavere quam pavere

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