Pensieri a vanvera
Da anni si fronteggiano due mondi, la narrazione epica di Silvio Berlusconi ed il linguaggio privo di fronzoli di Antonio Di Pietro. Il primo sta scrivendo la sua saga finanziaria, il secondo si propone come ultimo baluardo a difesa della Costituzione. Il Pd è appiattito da tempo immemorabile sull’inevitabilità del berlusconismo, mentre il suo massimo pianificatore continua a dispensare ricette per tattiche politiche perdenti. Gianfranco Fini ha raggiunto l’apice della sua parabola evolutiva di statista con le esternazioni fatte all’ultimo congresso pubblico del suo partito. Solo il segretario dell’Idv è rimasto ad urlare e ieri ha manifestato ancora una volta la sua indignazione contro il nuovo disposto sulle intercettazioni della Magistratura, auspicando persino una ribellione popolare. La mandria, se opportunamente indirizzata, potrebbe anche scendere in piazza con maggiore determinazione di quanta ne abbia dimostrata in altri frangenti, ma ci corre l’obbligo di fare alcune precisazioni. In primis va detto che lo scontro frontale è un’ipotesi già presa in considerazione, se non addirittura desiderata, dagli illusionisti che occupano il proscenio politico. E’ del resto verosimile pensare che questo Governo goda di un beneplacito sovranazionale. Senza avere la pretesa di fare un elenco esaustivo di fatti, vale la pena di riflettere su alcuni eventi che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio guardando anche fuori dei nostri confini. Nel 1989 viene fatto saltare in aria Alfred Herrhausen, Presidente della Deutsche Bank e stratega di un’Eurolandia indipendente dagli Usa. Nel 1990 l’antieuropeista Margaret Thatcher viene sostituita alla guida del Regno Unito da John Mayor. Nel 1991 Mario Draghi, ex dirigente della Banca Mondiale, assume la carica di Direttore Generale del Tesoro Italiano. Nello stesso anno viene assassinato Detlev Rohwedder, Presidente della Treuhandanstalt, la società incaricata delle privatizzazioni dell’ industria tedesco-orientale. Anche lui, come Herrhausen, aspirava ad un’Europa libera da condizionamenti esterni. Nel 1992 scoppiano gli scandali di Tangentopoli; la lira subisce un attacco speculativo tale da causarne la svalutazione del 30%; Giuliano Amato inizia la trasformazione in società per azioni dei grandi enti pubblici, Enel, Eni ed Ina; il procuratore Agostino Cordova apre una mastodontica inchiesta (finita nel nulla) sui rapporti tra massoneria, ’ndrangheta e politica; nello stesso anno muoiono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nel 1993 Mario Draghi presiede il Comitato per le Privatizzazioni che segna l’addio alla prima grande banca pubblica, il Credito Italiano. La finanza, inclusa quella anglo-americana inizia a gongolare per il ricco bottino offerto dall’Italia convertitasi al verbo del laissez-faire. Mentre l’happening delle privatizzazioni si protrae negli anni, di pari passo, si modificano le leggi che investono l’ordinamento giudiziario e assicurano la preminenza degli interessi dei singoli su quelli di carattere collettivo. Tralasciando la riforma processuale del 1989, su cui comunque ci sarebbero da muovere non poche obiezioni, dal 1992 si comincia ad intaccare sensibimente il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Chi delinque in giacca e cravatta, quelli che comandano, contrattano, acquistano ed investono diventano sempre di più giuridicamente imperseguibili. Da quel periodo inizia un processo di perfezionamento legislativo che riguarda la classe dirigente al fine di garantirne l’impunità e/o la sua supremazia sulle norme e sui codici. E’ sintomatico rilevare come grazie a Massimo D’Alema e a Romano Prodi il decreto presidenziale n. 361/1957 (non sono eleggibili coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private, risultino vincolati con lo Stato per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica) sia stato “interpretato” per favorire la carriera politica di Silvio Berlusconi. E’ significativo che nel 1997, con il tripudio di quasi tutto il Parlamento, venga varata una riforma per abolire il reato di abuso di ufficio non patrimoniale e per punire solo virtualmente quello patrimoniale. Mentre i beni pubblici passavano di mano e la corruzione saliva ai fasti della II Repubblica, la lista delle leggi fatte su commissione di tutta la “casta”, o solo per favorire qualcuno dei suoi esponenti, si allungava nel corso del tempo. Ci limitiamo a ricordare il “porcellum” elettorale del 2005 e la norma sul “legittimo impedimento” del 2010. Dunque, per colpa di chi ci ha governato, non solo abbiamo pagato pegno ai potentati nazionali, a quelli internazionali e all’Europa delle oligarchie economico-finanziarie ma, di pari passo, abbiamo pagato e paghiamo pegno alle “riforme” che hanno costruito una Giustizia debole per i forti e forte con i deboli. La maggior parte dei media è ormai asservita. Ad esempio non ha riferito che la Giunta per le Autorizzazioni del Senato ha rigettato la richiesta d’arresto per il senatore Vincenzo Nespoli, indagato per bancarotta fraudolenta, voto di scambio e riciclaggio. Ieri, come da disposizioni di corte, è passata al Senato la nuova legge sulle intercettazioni. E’ molto probabile che, continuando di questo passo, tra scudi fiscali e scudi legali, l’Italia potrà diventare un’ottima “lavanderia” per capitali esteri di provenienza illecita, potrà diventare il paradiso di tutte quelle attività che altrove sono ancora considerate fuori legge. Possiamo capire lo sdegno, includendo anche chi si indigna a compartimenti stagni, e comprendiamo l’indomabile Di Pietro che arriva a chiamare a raccolta le folle. Il nostro breve excursus vuole solo sottolineare la diffidenza e l’abulia di un Popolo che, là dove non sono giunti gli effetti dell’anestesia mediatica, può solo prendere atto di essere stato più volte raggirato. I signori della Lega, quelli che inneggiavano alla “distruzione” di Roma ladrona, sono ormai entrati nel Pantheon dei falsi profeti, gli odierni grilli parlanti censurano e si autocensurano, gli arbitri previsti dall’Ordinamento non garantiscono alcuna obiettività. La strada per risalire la china liberticida, per affrancarsi dal nuovo Medioevo è irta di spine e non passa neanche da Bruxelles. E’ difficile prevedere se, come e quando si strapperà la corda, ma è realistico pensare che a dirigere la ribellione di piazza o ad orientarla non ci saranno personaggi sensibili alle sorti di chi è stato fino ad oggi vessato. Riuscirà l’ex magistrato a compattare il dissenso che accomuna tutti nel desiderio di un domani a misura d’uomo? Riuscirà a superare i limiti posti dai vessilli colorati forniti di volta in volta alle “rivoluzioni” popolari?
Antonio Bertinelli 11/6/2010