Non è tempo di giubilei
In questi giorni il governo Berlusconi è stato sciolto per consentire l’insediamento di un governatore “straniero”. Molti di quelli che nutrivano disistima per questo esecutivo gioiscono ignari della spericolata manovra condotta dal Capo dello Stato in omaggio ai mercati, che sarebbe meglio definire tout court banche d’affari. Al di fuori di queste non esistono investitori capaci d’imporre tassi d’interesse insostenibili al finanziamento degli Stati privi di sovranità monetaria. Le colpe del “licenziato” sono molteplici ed è notorio che i principi costituzionali non fossero tenuti in grande considerazione dal governo delle cricche. Qualche organo d’informazione e molti blogger hanno condotto in tal senso una battaglia senza quartiere. A dire il vero la Costituzione, nella sua rigida stesura, va stretta un po’ a tutti i professionisti della politica nazionale ed è stata bypassata più volte anche da chi avrebbe dovuto garantirne il rispetto. La legge n. 270/2005 (meglio conosciuta con il nome di Porcellum) è in contrasto con la Carta che prevede l’elezione diretta dei parlamentari. La legge n. 85/2006 ha modificato il concetto e ridotto le pene per gli attentati contro l’indipendenza, l’unità e l’integrità dello Stato, contro gli organi costituzionali e la Costituzione. Il Trattato di Lisbona (approvato all’unanimità nel 2008) sovrasta e mette in subordine il dettato costituzionale. L’art. 11 della Carta viene aggirato chiamando le guerre missioni di pace o attribuendo loro aggettivi e scopi rassicuranti. Il Presidente della Repubblica, nel conferire a Mario Monti l’incarico di formare un nuovo governo, ha assunto quel ruolo politico che il suo mandato non prevede. Sarà un caso che in questi ultimi giorni Giorgio Napolitano abbia parlato di riforme costituzionali? Quasi tutti quelli che hanno da sempre denunciato o mal digerito i difetti, e a volte le oscenità, del governo Berlusconi, non fanno di certo gli schizzinosi davanti alla procedura irrituale che ha tolto di mezzo il fardello. Peccato che l’euforia non riguardi l’esito di una partita di calcio ma il futuro dell’Italia. Già perché l’accantonamento del primo ministro non è avvenuto per via ordinaria, ma su input di poteri sovranazionali interessati, oltre che all’ampliamento dei loro spazi geopolitici, alla ristrutturazione degli assetti economici dell’Italia e non certo alle sorti del popolo italiano. Non vogliamo avventurarci in paragoni improponibili tra il premier dimissionato e quello incaricato, ma il cursus honorum del secondo, se è ineccepibile come potenziale a.d. di una grande corporation, non è tale come capo di un governo desideroso di affrancarsi dal gioco al massacro condotto dai globalisti euro-anglo-americani. L’insediamento di Monti non conviene a tutti. Può convenire alla “casta” nell’indicarlo come unico responsabile di scelte impopolari, può far comodo agli incantatori di serpenti per annunciare gravemente che “la festa è finita” (ovviamente non la loro), può servire all’Ue dei banchieri che hanno in pancia parecchi miliardi di titoli finanziari tossici, può contribuire all’illimitato arricchimento della banca d’affari Goldman Sachs. Monti non prometterà ai cittadini un milione di nuovi posti di lavoro, non si trastullerà facendo l’illusionista, non ci scandalizzerà con i suoi costumi. E’ persona di tutt’altro stile, ma realizzerà esattamente tutto quello che lo ha spinto a sostituire l’”impresentabile”: reperire quattrocento miliardi di euro, impoverendo ulteriormente il ceto medio, svendere quello che è rimasto del patrimonio comune, mettere un’altra volta le mani sui contratti dei dipendenti pubblici e sul sistema pensionistico. Nessuno oserà mai rilevare che un’infinità di giovani precari e disoccupati vive grazie al lavoro dei genitori o alle pensioni maturate dagli stessi. Non bastava la crociata di Renato Brunetta conclusasi con la sospensione delle assunzioni, le decurtazioni retributive, i blocchi contrattuali, l’interruzione delle progressioni economiche, la liquidazione della “buonuscita” posticipata fino a due anni. Adesso, per chi ha iniziato a lavorare da ragazzo, si profila il rischio di dover andare in pensione dopo quarantanove anni di contributi, in attesa di superare i sessantasette anni di età. Dopo la somministrazione della terapia voluta dalla mano invisibile della global class staremo peggio dei nord-americani, sulla cui miseria trovano modo di fare business anche le banche. Per evitare che le indennità di disoccupazione impigriscano troppo i lavoratori, negli Usa i dipendenti licenziati non ricevono più l’assegno di sostegno direttamente dagli enti locali, ma viene consegnata loro una “card” della JP Morgan. Nessuna indulgenza per il governo mignottocratico, per i Cicchitto, le Gelmini ed i Sacconi, ma non rallegriamoci per l’insediamento di un tecnico allevato, cresciuto ed incensato nel culto del mito neoliberista. Le turpitudini del ceto politico disgustano, ma le occupazioni finanziarie dei paesi e le guerre umanitarie hanno bisogno di governi fantocci, di parlamenti corrotti, di apparati statali inefficienti. L’Agenda della global class è serrata, come dimostrano i ridondanti bombardamenti della Libia, i sanguinosi disordini coltivati in Siria e le aggressioni mediatiche contro l’Iran. Non è da ieri che le élites dominanti puntano a riorganizzare l’Italia secondo i dogmi di Milton Friedman. Il monarca deposto, per più di un motivo, e non certo per le sue conclamate “dissolutezze”, è diventato semplicemente disfunzionale. Le opposizioni parlamentari non offrono tutte le garanzie richieste ed eccoci dunque prossimi ad essere governati da un autorevole membro del club Bilderberg. Anche attraverso il ferreo commissariamento dei governi nazionali, di sicuro non peggiori di chi li manovra, sta calando sull’Europa il buio di una notte senza sogni.
Antonio Bertinelli 15/11/2011