Levámmoce ‘sta maschera, dicimmo ‘a veritá
L’andamento di tutte le comunità primitive è stato garantito da un insieme di regole, dall’assistenza reciproca, dalla condivisione degli obiettivi, dal lavoro inteso come impegno comune, da un saggio sfruttamento del territorio e delle risorse, da un bagaglio di competenze, da un’economia inserita nei rapporti interpersonali e da una complessiva organicità sociale. Se assumiamo tali parametri come indicatori minimi per il buon funzionamento di qualunque collettività, dire che l’Italia è sulla via del declino sembra un eufemismo. Con l’indefesso impegno del legislatore viviamo in un contesto anomico e, in tale situazione, le persone non hanno più né sistemi di appoggio né punti di riferimento. La trionfante ascesa dei furbi confligge con i desideri e gli obiettivi dell’intera comunità. Il lavoro, per chi ha l’opportunità di lavorare, è spesso privo di senso e comunque raramente coincide con gli interessi generali. Dai più è considerato un mezzo per sopravvivere, da pochi altri un mezzo per fare soldi. L’amministrazione del territorio e delle sue risorse si concretizza nelle discariche tossiche esistenti sull’intera penisola, nella realizzazione del Tav in Val di Susa, nelle trivellazioni petrolifere sui fondali del mare Adriatico e in prossimità della Sicilia. Una volta le competenze si acquisivano al fianco dei padri sui campi, nelle botteghe artigiane, nelle scuole e nelle università. Oggi l’istruzione, dopo essere stata più volte riformata, non sempre garantisce un’adeguata preparazione. Capita quindi sempre più spesso d’imbattersi nel medico incapace di effettuare una rianimazione cardio-polmonare o nel chirurgo titubante davanti alle difficoltà di un’appendicectomia. L’approssimazione e l’ignoranza non conosce confini, attraversa tutti i mestieri e tutte le professioni. C’è l’impiantista che sbaglia il progetto e sottodimensiona la linea elettrica, c’è l’ingegnere che si confonde nel valutare il carico di rottura, c’è il perito che perizia con i piedi, c’è il giudice impreparato e quello fazioso. La maggior parte dei rapporti sociali sono inseriti nel sistema economico, che tutto subordina alle proprie esigenze come se desse per scontato che la totalità degli esseri umani sia interessata a raggiungere il massimo del guadagno monetario. Rieducati dalla civiltà “superiore”, l’unica organicità che possiamo rivendicare è quella che schiaccia ogni aspetto della nostra vita sul modello di sviluppo neoliberista. La produzione scientifica italiana ha smesso di crescere e da segnali di arretramento. Nella generale decadenza, malgrado i numerosi talenti nazionali, è difficile consolarsi con la recente scoperta sulla velocità dei neutrini. In sintesi sembrano mancare i presupposti indispensabili per guardare alla semplice somma dei residenti in Italia come ad una società proiettata stabilmente nel futuro. Il dibattito sulla qualità della vita è antico. Se ne sono occupati anche Aristotele e Platone. Attualmente per misurare ciò che in greco veniva definito eudaimonia, sono utilizzati diversi rilevatori politici, economici e sociali. Per quanto il popolo sia da molto tempo educato a vivere nella confusione, a cullarsi nella mediocrità, ad essere volgare ed incolto, se mai venissero adottati rilevatori adeguatamente selezionati, si potrebbe fotografare un’Italia particolarmente infelice. Gli interessi dell’ipercapitalismo non coincidono con quelli di una società civile e lo Stato deve piegarsi alle sue parole d’ordine: deregolamentazione, flessibilità, mobilità, defiscalizzazione, desindacalizzazione, privatizzazioni, etc. Nel quadro di un’economia mondializzata diretta da banche e multinazionali le pretese dell’élite globalista non trovano argine, il capitale vive di vita propria e diventa un rullo compressore che schiaccia ogni anelito di libertà. Emma Marcegaglia ha sfiduciato il governo Berlusconi. Vorremmo ricordare che quelli preoccupati per la stagnazione e per l’entità del debito pubblico, a cui forse oggi strizza l’occhio, nel volgere di un decennio, hanno svenduto un pezzo così considerevole d’Italia da intaccare il suo Pil per un buon 35%. Purtroppo il governo che verrà nasce da un contesto nazionale degradato e si inserisce in una realtà globale per niente incoraggiante. Finte opposizioni e sindacati gialli sono fattivamente in linea con banche e grandi prenditori, non smettono di ribadire che è finito il tempo delle vacche grasse. Ammesso e non concesso che la classe operaia sia andata per alcuni anni in paradiso, le vacche grasse hanno sempre pascolato e continuano a pascolare in terreni ad essa inaccessibili. Se il governo in carica ha peggiorato il Paese oltre ogni previsione, il dramma più grande è che dopo la sua caduta un grande numero di problemi sul tappeto rimarrà senza effettive soluzioni. Premesso che le agenzie di rating sono tutt’altro che neutre nei loro giudizi, la schiavitù del debito pubblico è un arnese vecchio, già sperimentato per rapinare altri Stati nel corso del XX secolo. Oggi la cessione della sovranità monetaria la stanno pagando alcuni cittadini europei, inclusi gli Italiani. Domani le vittime dell’orgia neoliberista saranno i Francesi ed in ultimo anche i virtuosi Tedeschi. Ancor prima che venissero perfezionate le tecniche di saccheggio globalista il sogno americano si stava già tramutando in un incubo. Per evitare il cataclisma mondiale, che sembra stagliarsi su qualsiasi orizzonte, ci vorrebbero dei politici che non ci sono. In alternativa ci vorrebbe che la possente macchina da guerra impiegata nella ex Jugoslavia, in Afghanistan, in Iraq ed in Libia si rivolti contro i suoi padroni. Rivoluzioni colorate ed insurrezioni sono già state messe in conto.
Antonio Bertinelli 25/9/2011