La luna nel pozzo
Non saranno certo folle oceaniche d’indignati nelle piazze o le rimostranze d’industriali tardivamente “pentiti” a far cadere il governo in carica. In un contesto globale turbolento i poteri forti sovranazionali hanno tutto l’interesse a sostenere esecutivi che non riservino imprevisti e che non siano in grado di scegliere autonomamente politiche in contrasto con gli interessi dell’Impero. Una classe dirigente spregevole e un governo travolto dalle inchieste giudiziarie non possono che inchinarsi a qualsiasi diktat. Il potere contrattuale di Silvio Berlusconi, ammesso che da domani voglia esercitarlo nell’interesse generale del Paese, è nullo. Quando verrà staccata la spina al suo governo il “nuovo” non potrà discostarsi troppo dal vecchio. Le finte e docili opposizioni sono lì a confermarlo più o meno da un ventennio. Fatte le debite proporzioni basta guardare al fuoco di paglia di Barak Obama, per molti aspetti peggiore di Bush junior. I bavagli inseguiti da Berlusconi non sono poi così diversi da quelli desiderati da Nicolas Sarkozy, David Cameron, Gordon Brown e dallo stesso presidente statunitense che, nei primi diciassette mesi di carica, ha surclassato tutti i suoi predecessori nel perseguire penalmente gli informatori “illegali”. Esigenze di casta ed esigenze di cosca, tipiche della realtà italiana giustificano a maggior ragione il controllo di ogni rivolo d’informazione indipendente, ma anche il faro delle democrazie si accinge ad applicare nuove censure sul Web, in aggiunta a quelle che già effettua l’Homeland Security. Attualmente è ferma al Senato degli Usa la legge Protect IP, che consentirebbe al governo di chiudere senza appello domini Internet ritenuti imbarazzanti. In un’ottica diametralmente opposta a quella adottata da noti prenditori a modo loro comunisti e da figure di un passato che ritorna in perenne conflitto d’interessi, riteniamo prioritario un avvicendamento in tutta l’amministrazione dello Stato. Restano naturalmente mille riserve sul come e sul chi prenderà il posto di Berlusconi. Come si è visto in Grecia, ed in forma più violenta in Libia, la globalizzazione dell’economia e della cultura pone in un angolo persone, popoli e sovranità nazionali fino a seppellirle sotto migliaia di bombe. Il passaggio forzoso dal Welfare State al Profit State allinea i governi sul dispotismo e le società su canoni orwelliani. La stampa che si professa libera, narrando le infinite miserie del re, della sua corte e di questo Parlamento, dimostra un marcato angloamericanismo, sottolineando quello che ci distingue e dimenticando tutto quello che ci accomuna ad altri paesi occidentali. Le democrazie si sposano ormai con tratti quali la paura, il monadismo, la sensazione d’impotenza, la repressione, lo scadimento della scuola pubblica, l’indirizzamento dell’informazione, il controllo telematico, le schedature di massa, la colpevolizzazione del dissenso, lo spionaggio capillare e la digestione dell’indigeribile. Le bugie sono utili per garantire la sicurezza dello Stato. La guerra è utile per scopi umanitari. Il genocidio viene praticato con discrezione. La tortura diventa metodo per ottenere informazioni. La brutalità della polizia viene accreditata come reazione alle intemperanze dei contestatori/delinquenti. Le carcerazioni vengono eseguite con la nonchalance tipica delle tirannie additate dal Pentagono, dalla Cnn, dalla Bbc, dal New York Times, dal Guardian e da altri media mainstream. Gli “indignados” europei, se infiltrati da organizzazioni politicamente o sindacalmente gerarchizzate, e quelli di Wall Street, che, malgrado gli abusi dei “cops”, sono appoggiati da George Soros, rischiano di assecondare inconsapevolmente ricambi gattopardeschi delle marionette politiche al servizio dello strozzinaggio bancario internazionale e del capitale apolide. La crisi indotta dal modello di sviluppo economico è in parte ancora circoscritta alle bolle finanziarie, ai debiti pubblici e alle privatizzazioni/svendite dei beni statali, ma, continuando di questo passo, rischia di sfociare in milioni di licenziamenti simultanei in tutto il pianeta. Con i governi espressione del Fmi, della Fed, della Bce, del Wto e di altri organismi sovranazionali, non c’è contenimento democratico, non c’è contenimento politico, non c’è contenimento sociale e c’è il rischio che la disperazione possa portare a rivolte endemiche. Superare il berlusconismo è condizione necessaria ma non sufficiente per la “rinascita” dell’Italia. Dalla tipologia dei vari pretendenti al trono e visti i pulpiti dai quali partono lezioni di etica, è lecito supporre che la svolta post-berlusconiana sarà un’operazione d’immagine. Anche se indulgessimo all’ottimismo il panorama nazionale ed i vincoli del vassallaggio non ci consentono di sperare che la somma vettoriale delle decisioni politiche future darà come forza risultante un ridimensionamento delle élites finanziarie. Se è vero che la vita dei regimi dipende anche dall’apatia e dal relativismo dei cittadini, è altrettanto vero che le rivoluzioni non nascono tutti i giorni e che le insurrezioni hanno il fiato terribilmente corto. Ipotizzando che il nuovo possa essere analogo al vecchio, per combattere gli incubi di un continuum politico e quelli alimentati dalla globalizzazione potrebbe essere esplorata la strada dell’autarchia. Con la diffusa interdipendenza degli Stati e la conseguente subordinazione ad istituzioni globali, nate per perpetuare e lucrare su qualunque problema, è oggi impossibile sognare l’autosufficienza di una nazione. Per uscire dall’equazione mondialista basterebbe convertirsi ad un diverso stile di vita. La costituzione di piccole comunità autonome nel procacciarsi il cibo e magari in grado di raggiungere un surplus di produzione potrebbe essere un modo per sottrarsi, almeno temporaneamente, al destino programmato dai globalisti e dai loro mercenari.
Antonio Bertinelli 6/10/2011