In articulo mortis
“A vizio di lussuria fu sì rotta, che libito fé licito in sua legge, per tòrre il biasmo in che era condotta”. Semiramide, regina assira, in virtù delle sue prerogative reali, dichiarò infatti lecito quanto più le risultava gradito. La “casta” ha dato vita a strutture di potere tanto lontane dalle necessità dei cittadini quanto idonee a realizzare i propri disegni, a dare contorni reali alle proprie smanie, a fare bottino portando il debito pubblico a punte da record internazionale. L’irresistibile ascesa dei furbi, che hanno diffuso il mito dell’individuo vincente, ha portato al ridimensionamento della solidarietà e della cooperazione. La democrazia si è così tramutata in una lotta senza quartiere tra fazioni contrapposte per il possesso della cassaforte comune. Sia i destini personali dei cesaristi che di numerosi loro avversari politici hanno poggiato sulla rovina pubblica, per cui l’allegra vita del maestro o dei suoi epigoni è solo l’aspetto più appariscente ma sicuramente meno esiziale per lo stato presente e futuro della Democrazia. Al conflitto d’interessi per eccellenza, quello dell’Asso Pigliatutto, si sono aggiunti tanti altri conflitti, che vedono il moltiplicarsi di rapporti incestuosi tra controllori e controllati, sia negli organismi pubblici che in quelli privati. Ci sono dissonanze in Parlamento, nelle Regioni, nelle Province e nei Comuni. I duemilaquattrocentotrentaquattro consiglieri delle aziende quotate in borsa ricoprono mediamente tre poltrone ciascuno, centottantaquattro di loro hanno dieci incarichi ed uno ne ha ben sessantasette. E’ inoltre ragguardevole il conflitto delle banche, socie della Banca d’Italia istituzionalmente preposta a controllarle. La legislazione degli ultimi venti anni, quando non palesemente “estorsiva”, ha imbalsamato l’apparato giudiziario, ha rafforzato imperi finanziari, in primis quello di Cesare, ha impoverito le masse ed ha riportato gli Italiani nelle condizioni tipiche dei sudditi. L’attuale governo, in articulo mortis, prima di congedarsi, vuole smantellare i residui normativi ancora rimasti a tutela dei lavoratori. Come se non bastassero i danni prodotti ed una generazione di giovani, a cui è rimasto solo il web per dare sfogo alla propria impotenza, il capo dell’esecutivo, prossimo ad essere sfiduciato dai suoi vecchi sodali, intende resistere. Dopo aver dato vita ad una dinastia e dopo aver sottoscritto l’andazzo di sempre, in base al quale fanno affari o trovano collocazioni ad hoc esclusivamente parenti, amici, amici degli amici, delfini e finanche trote, è comprensibile che l’autocrate voglia trasferire il “diritto” al premierato nelle mani degli eredi. A prescindere dai desideri dell’uomo di Arcore, il suo astro è visibilmente in discesa. Per quanto lo scioglimento di questo governo rattristi solo i berlusconiani duri e puri, sarebbe bene che gli Italiani cominciassero a guardare oltre l’orizzonte accantonando ogni forma di fideismo. Il Paese è in affanno come non mai e non si possono attribuire tutte le colpe ad un solo responsabile. Ci sono stati infiniti complici ed insospettabili correi. Se i comunisti europei hanno pagato pegno alla celebrata “conversione” di Michail Gorbacëv, anche il pensiero liberale gode ovunque di pessima salute. John Stuart Mill lanciò un attacco frontale alla scienza economica del suo tempo quando la stessa cominciò ad identificare il benessere economico e sociale con la crescita senza limiti dei profitti. Ogni sincero liberale assegna allo Stato le politiche di redistribuzione della ricchezza, la giustizia sociale e tutte quelle funzioni che possano essere scritte lecitamente nel patto democratico tra governanti e governati. Il berlusconismo ha rafforzato l’oscena ragnatela poggiata sull’indissolubile connubio tra mafie, politica, massoneria, banche, grande imprenditoria e servizi segreti. Il neoliberismo, fuori e dentro i confini nazionali, ha rifinito l’opera per far maturare una regressione sociale permanente. Dunque non è più questione di nomi o di giubbe, né è più tempo di correre dietro alle false promesse di un qualche demagogo a mezzo servizio. La pur assillante questione morale interna non deve distogliere da quello che succede altrove. In Portogallo due giovani su dieci sono precari (li chiamano “ricevute verdi”), in Spagna i Paesi Baschi sono diventati il laboratorio continentale della repressione, in Francia c’è un contesto nazionale esplosivo, nel Regno Unito gli studenti sono stati colpiti con tasse universitarie insostenibili. Le performances poliziesche italiane sono più o meno in linea con quello che accade in altri Paesi, dove gli emissari di Eurolandia, per garantirsi qualunque sfruttamento del territorio, l’impiego di manodopera a basso costo e la permanenza di lucrosi squilibri sociali, ricorrono ai manganelli, ai lacrimogeni, ai provocatori, agli infiltrati, alle spie e alle manette. La classe dirigente italiana grufola nel fango, ma non bisogna dimenticare che la servitù euroatlantica è divenuta del tutto incompatibile con le conquiste civili del passato. L’informazione “libera” si occupa troppo spesso di scandali circoscritti a questo o a quel personaggio mentre ignora che la costruzione europea, al di là della retorica, si è tradotta in un generale e sistematico peggioramento delle condizioni di vita dei cittadini. I governi europei fanno da esattori delle imposte per conto del Fmi e l’intero ceto politico italiano, più di altri, ha la briglia lunga quel tanto da far passare per ineluttabile la soggezione alla Bce. Nell’indignazione generale per i costumi del monarca non una sola voce si è mai levata in tutti questi anni per superare il contingente e dire anche: meno Mercato, meno Borse, più Welfare, più Sovranità politica ed economica, più Sindacato, più Giustizia, più regole. L’Italia non può sopportare ancora a lungo gli insulti del malaffare endemico così come l’Europa non può sopravvivere al collasso se non si libera dalla dittatura della finanza. A conclusione del G20 di Seul tutti i partecipanti hanno manifestato l’intenzione di procedere d’amore e d’accordo. Mario Draghi è stato incaricato di redigere e completare la lista delle banche a rischio sistemico. Il dopo Berlusconi sembra ormai avviato ed è ristretta la rosa dei papabili. E’ probabile che un esecutivo transitorio diretto da qualche economista fidelizzato overseas possa aggiungere nuove spine al martirio. Durante la stesura provvisoria della Carta in commissione ristretta alcuni inserirono la frase: “Quando i pubblici poteri violano le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino”. Il plenum della Commissione dei Settantacinque non ritenne opportuno aggiungerlo all’art. 50. Con buona pace di qualche ministro e degli stessi estensori del Trattato di Lisbona, riteniamo che il diritto di resistere alle prevaricazioni sia comunque legittimato dal principio della Sovranità Popolare stabilito dall’art. 1 del dettato costituzionale.
Antonio Bertinelli 14/11/2010