Gianfranco Fini: un ossimoro da sciogliere
Nel 1983 Gianfranco Fini era the prodigy boy dei parlamentari del Msi-Dn. Giorgio Almirante gli cedette il posto nella circoscrizione dove risultò primo dei non eletti e l’attuale terza carica dello Stato fece il suo ingresso alla Camera dei Deputati ad appena 31 anni. Probabilmente Almirante non arrivò mai ad intuire che il suo giovane delfino avrebbe imparato a nuotare così bene tanto da condurre il partito, ritenuto per anni “fuori dell’arco costituzionale”, al governo del Paese. Il trasformismo ha premiato Fini, ma è difficile far convivere il diavolo e l’acquasanta. Silvio Berlusconi e Umberto Bossi inseguono cinicamente i loro disegni senza remore di sorta. Fini, quanto meno per i suoi trascorsi politici, ha sicuramente acquisito una diversa sensibilità istituzionale. Da parecchi mesi cerca di distinguersi dal Cavaliere che, proprio ieri, ha ribadito la sua determinazione nel portare avanti la “guerra santa” contro le intercettazioni della Magistratura. Si può ipotizzare che il sostegno alle attività legislative imposte dalle esigenze del premier sia stato fornito obtorto collo dall’ex enfant prodige, illo tempore apprezzato anche da Teodoro Buontempo. E’ comunque difficile prevedere l’epilogo del dissidio maturato in questi giorni, ma di certo Fini è ben conscio delle conseguenze derivanti dalla separazione, non ultimo il possibile danno da shopping in cui è maestro Silvio da Arcore. Siamo d’altronde persuasi che nello sgangherato teatrino, in cui recitano da tempo immemorabile vecchi e nuovi esponenti del Pd, debba calare il sipario. La situazione generale dell’Italia non è rosea sia a causa della sovranità nazionale sacrificata infine ai diktats della globalizzazione e sia a causa di un’inarrestabile deriva autoritaria. Il sistema così come è stato congegnato non ammette l’insediamento di un “salvatore” che ci aiuti a risollevarsi dal decadimento sociale, morale e materiale in cui siamo stati trascinati, ma un atto di coraggio di Fini potrebbe almeno porre un freno al miope secessionismo leghista e alla cupidigia di un qualunque futuro caudillo. La recente vittoria elettorale della Lega indica la predominanza di un pensiero geopolitico circoscritto e pertanto inadeguato per cogliere l’importanza di una comunità più ampia e della necessaria solidarietà nazionale. Stigmatizza il rifiuto dello Stato come soggetto economico, ne disconosce il ruolo che gli dovrebbe essere proprio come compensatore di squilibri e supremo garante della convivenza civile. L’edificazione del federalismo, i cui costi complessivi non sono attualmente calcolabili, renderà ancor più facile la marcia delle oligarchie transnazionali. Le falangi del Pd, privatizzando e conseguentemente impoverendo l’Italia, hanno smantellato settori trainanti dell’economia: l’Iri, l’Eni, l’Imi, l’Italtel, la Telecom, la Siderurgia, etc. Ancor prima che Giulio Tremonti potesse affermare come la destatalizzazione realizzi in sé “un patrimonio di valori privatistici in termini di etica, struttura di bilancio e di efficienza” (sic), Romano Prodi poteva rivendicare il record europeo delle privatizzazioni effettuate tra il 1992 ed il 2000. Non minori responsabilità possono essere imputati al Pd per la progressiva opera di affossamento del settore Giustizia, per l’insolenza di cui è stata più volte bersaglio conseguenziale l’intera Magistratura, per le ombre che si sono estese sul Quirinale e per la vertiginosa ascesa del Berlusconismo. Il Presidente del Consiglio auspica ancora oggi un’opposizione “responsabile”, ma è proprio grazie alla consueta “responsabilità” che si è assunto il Pd fin dai giorni successivi a Tangentopoli che il Paese è in profonda sofferenza ed è nel contempo assoggettato alla pressione di un unico tacco mediatico. Il totalitarismo, uso a fronteggiare eventuali ribellioni dovute alla maggiore divaricazione tra gli stili di vita delle élites stegocratiche, della middle class e degli spiantati di ogni età sembra essere ovunque in risalita. Barak Obama, ovvero l’illusione di un cambiamento dopo il saccheggio prodottosi con la bancarotta di diverse società legate al credito e al mercato immobiliare, è solo un prodotto confezionato nell’empireo finanziario e bancario statunitense, che ha ritenuto opportuno allentare la pressione interna sulle masse impoverite e precarizzate. Lo scacchiere internazionale, l’occupazione mortifera dell’Afghanistan, le stesse accuse infamanti rivolte ai tre operatori di Emergency indicano come la voracità predatoria sia il solo astro che guida il capitalismo senza confini. L’Italia, con i suoi governi, non fa eccezione, anzi si accinge a fare da corriere per diffondere nel resto dell’eurozona, una specie di tirannide democratica. Il Trattato di Lisbona, per la cui firma hanno nicchiato pochi politici europei, e tra questi la dirigenza polacca recentemente eliminata (per qualcuno forse provvidenzialmente?) da un incidente aereo, è già pregiudizievole per la sopravvivenza delle Costituzioni nazionali. I desideri berlusconiani, da sempre sostanzialmente esauditi dalle eminenze grigie del Pd, sono un surplus di cui gli Italiani farebbero volentieri a meno. Il potere, per non essere messo a fuoco nella sua orripilante nudità, ha bisogno di canalizzare il dissenso nell’alveo di una dialettica controllabile e dunque lascia spazio solo a chi lo esterna nei limiti stabiliti, che siano politici, opinionisti o altro. Non possiamo perciò concedere un’apertura di credito illimitato a Fini, che non avrebbe mai dovuto lasciarsi “sdoganare” dall’attuale capo supremo ed è quindi parimenti responsabile per tutto ciò che stato realizzato fino ad oggi a spese della collettività. La sua ferma, sia pur tardiva, indisponibilità nel partecipare all’ultimo assalto contro le Istituzioni repubblicane lo consegnerebbe con minori ombre alla Storia di questo ormai lercio Stivale. Le usuali proposte “indecenti” di Massimo D’alema e dei suoi emuli, le note del piffero poco adamantino di Luciano Violante, i titoli paragiuridici di cui si avvale Andrea Orlando, le purghe somministrate nelle stanze del supremo Colle per mandare in diarrea la terzietà presidenziale e gli inconfessabili accordi trasversali edificati sulle spalle dei cittadini continuano ad incombere sulle nostre teste. Pur guardando con simpatia ai movimenti che si fanno promotori e latori di speranze attraverso l’impegno civile di molti giovani, in barba alle incomprensioni che affliggono i rapporti dei loro maturi mentori, qualche volta affetti dalla “sindrome della prima donna”, non possiamo prescindere da una visione realistica dell’insieme. Se Fini, senza più ondeggiare, troverà l’audacia di lanciarsi dal trampolino lo strisciante dispotismo che sta minando un sistema basato costituzionalmente su pesi e contrappesi non avrà probabilmente modo di dispiegarsi compiutamente.
Antonio Bertinelli 18/4/2010