Gianfranco Fini: sinapsi politica o estremo sussulto?
Numerosi Italiani sono ancora in attesa che i proclami lanciati con il “Discorso della Calza” del 26 gennaio 1994 si tramutino in fatti con ricadute positive sull’intero Paese. Gli industriali abbandonano la produzione in loco e vanno in cerca di siti stranieri dove poter aumentare gli utili. Imprenditori in crisi e lavoratori senza reddito si suicidano, mafie e politica continuano ad andare a braccetto, le uniche liberalizzazioni realizzate sono state quelle finte e quelle a danno del cittadino, il patrimonio statale è stato dissipato. Se la situazione socio-economica della Grecia è altamente suscettibile di un prossimo default, le nostre prospettive di un’adeguata crescita del Pil, contrariamente ad altri Stati europei, restano un miraggio e, nella patria del lotto, non esiste jackpot che metta in palio una qualche certezza per l’avvenire. Mentre l’avvento del messia non ha evitato che si concretizzassero i peggiori pronostici, la categoria degli “eletti” ha continuato ad operare in maniera autopoietica, sempre più spinta da auri sacra fames. Da oltre un quindicennio è scomparsa dalla politica attiva la destra storica e il Pd si è proposto come il migliore alleato del Berlusconismo, cresciuto in latitanza di apparati istituzionali capaci di “dar senso” all’azione sociale. In questi giorni Pierluigi Bersani ha stigmatizzato la mancanza di serenità che affligge il Pdl e che, a suo dire, preclude ogni possibilità di dialogo. Gli esponenti del suo partito, in preda ad una malcelata foia da astinenza partecipativa, continuano a dichiararsi pronti per contribuire alle “riforme”, quelle che secondo i vari gaspacapebonazzoni “vogliono gli Italiani”. In antitesi alla calma piatta che regna nel Pd, foriera di inciuci alla D’Alema & Co, ci sembra che l’unico evento degno di nota sia la breccia aperta da Gianfranco Fini. Pur sottolineando che l’attuale Presidente di Montecitorio, appiattendosi per anni sui desiderata di Silvio Berlusconi, ha lasciato senza riferimenti l’elettorato che si identificava in An, non si può disconoscere che il suo ultimo “distinguo” pubblico è stato simile ad una folata di vento inaspettata, una riflessione per guardare alla politica non più come mera amministrazione dell’esistente e strumento principe per raggiungere ambiti traguardi personali. E’ vero che per anni Fini ha lasciato incolti persino quei campi che avrebbe potuto irrigare approfittando della cecità e della grettezza pragmatica dei suoi consociati; è lecito sospettare che a scuotere Fini sia stata anche la possibilità di collaborare ad un futuro “pateracchio” con forze diverse da quelle che attualmente dominano tutti i centri di potere in linea con il Governo, ma è altrettanto vero che la politica non riesce più ad armonizzare il contingente con la speranza e la memoria storica delle nuove generazioni. Al netto delle colpe fin qui accumulate e delle scelte che farà domani Fini, magari ascoltando l’invito di donna Assunta Almirante (“Si riprenda An, il suo partito è a via della Scrofa, torni alla casa del padre, dove il padrone è lui, può disporre del suo popolo, che tornerebbe tra le sue braccia”), la cosa più rilevante constatata a margine dello “strappo” è il danno da shopping che An ha pagato subendo la smobilitazione di tutte quelle rappresentanze parlamentari convertitesi al verbo di Arcore. Nel romanzo “I fratelli Karamàzov”, F.M. Dostoevskij fa dire al grande inquisitore che parla con Gesù: “Io so che tu hai ragione, che sei tu la verità, ma io devo di nuovo condannarti, non ho altra strada”. La frase ben rappresenta una sorta di pulsione filogenetica che caratterizza il gregarismo, ovvero la predisposizione a conformarsi, a rinunciare a se stessi per affidarsi ad altri, al capo dalle capacità indiscusse ed indiscutibili. Il carisma di Berlusconi abbaglia i mediocri, ad esso si aggiungono poi le motivazioni all’obbedienza derivanti dalle strategie di marketing, ineguagliabili per la quantità di dossiers da impiegare all’uopo e per la nota munificenza con cui gratifica i suoi migliori dipendenti. Dunque Fini sta pagando un conto maggiore di quello che avrebbe dovuto pagare per la sua lunga desistenza sul fronte della destra non plebiscitaria e per aver diluito l’originalità di An nella minestra di cui si ciba l’ipnotizzatore mediatico. Il suo seguito parlamentare è di gran lunga inferiore a quello che si potrebbe riscontrare oggi nelle urne elettorali. Il disegno personale di Fini è sempre apparso sostenuto da una strategia di lungo termine e non è facile fare presagi su quanto accadrà nell’imminente futuro. C’è da sperare che, essendoci in ballo temi cruciali per la sopravvivenza dello stato di diritto, per la salvaguardia di quel poco di solidarietà nazionale sopravvissuta, per restituire dignità internazionale all’Italia, per progettare ex novo l’economia e la finanza, Fini non continui a dissentire solo a parole. L’ambiguità non sempre paga ed ulteriori indugi nel far mancare fatti concreti rischierebbero anche la definitiva erosione della base elettorale aennina.
Antonio Bertinelli 24/4/2010