La banca della rabbia
L’impiego dei servizi d’intelligence, Il dossieraggio, la possibilità di arruolare chiunque facendo leva sulle zone grigie o fragili delle sua esistenza, il controllo dei media mainstream e gli incommensurabili mezzi finanziari, specialmente se convergono nelle disponibilità di un solo soggetto, sono un agglomerato difficile da combattere in qualunque frangente. Lo sono ancor di più quando messi al servizio del vecchio piano piduista mai adeguatamente contrastato nel corso degli anni. Gianfranco Fini ha avuto modo di sperimentarlo direttamente dopo la sua estromissione dal Pdl e, con la campagna acquisti ripresa di slancio, che sta indebolendo la sua stessa formazione politica, coglie l’occasione per ammetterlo pubblicamente. Chi è ricattabile o è rotto ad ogni compromesso non si pone lo scrupolo di cambiare padrone ad ogni stormire di fronde. Il problema si pone in tutta la sua gravità al Paese costretto a trangugiare il fiele del regime veicolato da un ceto politico corrotto e mai sazio, inetto e codardo. La Magistratura, volente o nolente, continua a rimanere prigioniera di un estenuante gioco tra guardie e ladri. Res sic stantibus, magari tra un paio d’anni, il primo ministro potrebbe anche finire dietro le sbarre. In punto di diritto l’ipotesi è più che sostenibile, ma è comunque improbabile che gli eventi seguano il corso giudiziale riservato ai più. Le vicende pregresse in tema di reati amnistiati, prescritti, depenalizzati non depongono a favore di una “nemesi” giudiziaria e l’alba della nazione sembra quanto mai lontana. Più di un sodalizio, in primis quello becero dei leghisti, agisce esclusivamente per ottenebrare le menti dei cittadini. Le opzioni previste dalle moderne democrazie non sono più idonee per ridare voce ai Popoli. Figuriamoci quanto lo possano essere quelle accordate dai governi autocratici. Nell’ultimo ventennio la maggioranza degli Italiani è stata raggirata e sfruttata, è stata trascinata nell’infamia e nella miseria senza poter mai intravedere una speranza. Già colonia Usa, taglieggiata senza misura dalle tante mafie, spinta nel vortice neoliberista della globalizazione, subordinata a Bruxelles e alla Bce, occupata in ultimo da Silvio Berlusconi e dai suoi amici, se l’Italia vuole tornare ad essere sufficientemente libera deve sottoporsi ad un vero e proprio shock terapeutico. Anche il panorama economico-politico internazionale rende certamente più facile la scelta del singolo e quella di gruppi che intendono uscire dal gregge indistinto soggiogato dai governi e da altre mille schiavitù radicalizzando il distacco dal sistema. La scelta rivoluzionaria non è indolore, richiede valutazioni di ampio respiro, non può ignorare che le reti di potere preesistono e sopravvivono all’uomo che lo esercita pro tempore, sia sibi et suis che su commissione. Le rituali parole “il re è morto, viva il re”, con le quali l’araldo della monarchia annunciava il decesso del sovrano e l’avvento al trono del successore, sono desuete nella forma ma sempre attuali nella sostanza. La recente destituzione di Hosni Mubarak su pressione della piazza, almeno nei suoi immediati sviluppi, non appare foriera di grandi cambiamenti, non sembra atta a garantire l’accoglimento delle legittime aspirazioni degli Egiziani. Chi subentrerà come presidente prometterà qualche posto di lavoro in più, abbasserà il prezzo di alcuni generi alimentari, offrirà qualche nuova posizione amministrativa a dei docili cooptati e sacrificherà un pò di capri espiatori della vecchia guardia. Mutatis mutandis, per l’economia globalizzata, tutti gli abitanti del Maghreb, dove la politica dominante è quella dell’infitah, ovvero della porta aperta agli investitori stranieri, continueranno ad essere solo vittime di dumping sociale. E’ questa la raison d’ètre delle democrazie elargite sotto la guida di oligarchie e think tanks sovranazionali. In Italia il disagio popolare è crescente, ma manca la “banca della rabbia”, ovvero un grande partito d’opposizione capace di attivarsi e di mobilitare le folle per abbattere quanto meno il tiranno. La storia insegna che dopo le rivoluzioni arrivano spesso le restaurazioni, ma è pur vero che la specificità italiana non consentirà mai un ricambio della classe dirigente per via parlamentare, attraverso i meccanismi elettorali o per mezzo di pacifiche manifestazioni di piazza. Per resuscitare la Costituzione ci vorrebbe ben altro. I lamenti di Gianfranco Fini, che vede Fli sbriciolarsi ed i pigolii di Pier Luigi Bersani, che invoca pedissequamente le dimissioni del premier ci partecipano, senza se e senza ma, che la commedia sta virando velocemente in tragedia. Un carro Leopard che avanza cannoneggiando, sostenuto da una compagnia di vandali allineati e coperti dietro la sua scia, non può essere fermato con riti giudiziari propiziatori, né con i mantra degli “avversari”. Non esiste altra tattica che quella di colpire per rendere definitivamente inutilizzabili i suoi cingoli. Il Parlamento è stato piegato ai voleri del boss, i menestrelli delle opposizioni “autorizzate” e compatibili con il berlusconismo non riescono a fermare neanche i lanzichenecchi in camicia verde che stanno erodendo i pilastri della Repubblica. Anzi offrono loro collaborazione, finanche provvidenziale per il duo ministeriale Bossi-Calderoli, ostile persino alla celebrazione solenne del centocinquantenario dell’Unità d’Italia. Il Paese è alla mercè di un governo che non governa e degli uragani della globalizzazione. Le proiezioni oniriche del ministro dell’economia nascondono, tra l’altro, che il mercato del lavoro è disastrato come in pochissimi altri paesi europei. La Magistratura deve conservare quanto più la sua indipendenza, ha l’obbligo di perseguire i reati, ma è sconsiderato e vile attribuirle una funzione palingenetica da cui è bene che la stessa rifugga. Nel Preludio al Machiavelli, Benito Mussolini scrisse: “Il popolo non fu mai definito. È una entità meramente astratta, come entità politica. Non si sa dove cominci esattamente, né dove finisca. L’aggettivo di sovrano applicato al popolo è una tragica burla. Il popolo tutto al più delega, ma non può certo esercitare sovranità alcuna. I sistemi rappresentativi appartengono più alla meccanica che alla morale”. L’inamovibilità del nuovo duce, una sorta di metempsicosi diabolica sta lì a dimostrarlo. Spetta agli Italiani smentirlo prima che sia troppo tardi.
Antonio Bertinelli 19/2/2011