vecchi pensieri 102 (I giorni della merla)

I giorni della merla

Secondo Aristotele la Giustizia è la virtù per eccellenza in quanto implica il concetto di ordine e di equilibrio, assetto e misura sia in sé che nel rapporto con gli altri. Un gran numero di giuristi contemporanei, al fine di coniugare l’ideale di Giustizia con quella prevista dalle leggi, fa riferimento ai “Principi Generali del Diritto”. Tutti concordano sulla sua natura di potere necessario a tutelare gli interessi legittimi di tutti. Un effluvio di parole e di bei discorsi hanno accompagnato, nel corso di un ventennio, mattone dopo mattone, lo smantellamento dell’intero edificio giudiziario. I cittadini vorrebbero Giustizia in tempi rapidi e certezza della pena, la Magistratura vorrebbe codici snelli, personale in organico e strumenti adeguati al compito che è chiamata a svolgere. Chi non vuole che l’apparato giurisdizionale si muova nell’interesse generale invoca riforme soltanto funzionali ad interessi di parte. La lobby che butta sabbia negli ingranaggi della Giustizia è potente, agguerrita, trasversale e a volte “incappucciata”. Con la riforma del 2005 è stata modificata la cerimonia d’inaugurazione dell’anno giudiziario. La Corte di Cassazione e le Corti d’Appello si riuniscono in forma pubblica e solenne. La liturgia si apre alla presenza del Presidente della Repubblica, supremo garante della separazione dei poteri sancita dalla Costituzione. Toghe di velluto rosso, ermellini, fregi aurei, catene e pompon dorati, insomma tutti i paramenti dell’occasione non possono che rappresentare l’eco di una tradizione tanto coreografica quanto travolta dai costumi del berlusconismo. La cerimonia, che una volta forniva opportunità di meditazione su uno dei pilastri dello Stato, si è trasformata in un contenitore di lagnanze per sordi e di giaculatorie sulle inadempienze dei governi. La cittadella della giurisdizione, peraltro già attaccata dall’interno come spesso riportato dalle cronache, è prossima ad essere espugnata nonostante le dichiarazioni del primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo: “I magistrati proseguiranno ad essere fedeli al modello di giudice capace, per la sua indipendenza, di assolvere un cittadino in mancanza di prove della sua colpevolezza, anche quando il sovrano o la pubblica opinione ne chiedono la condanna, e di condannarlo in presenza di prove anche quando i medesimi poteri ne vorrebbero l’assoluzione”. L’attacco concentrico della politica e la pervasività di alcune congreghe hanno parzialmente leso il fragile status di autonomia dei magistrati e continuano a delegittimare quelli maggiormente esposti in indagini sgradite ai potenti. Veti incrociati, disinteresse, rappresaglie, approssimazione amministrativa ed esigenze della “casta” fanno il resto. Il Ministro della Giustizia sembra ignorare che a Milano i casi di corruzione, peculato e truffe alla Pubblica Amministrazione sono aumentati del 44%. Questo è il segno inequivocabile del degrado che affligge una società le cui rappresentanze istituzionali annoverano malfattori, predicano l’edonismo e pretendono impunità. Non ci si può avvitare su se stessi ignorando quali sono le riforme davvero necessarie per il buon funzionamento della Giustizia ed affermare che la mancata “riforma” dipende dall’incapacità di fare squadra e dalle resistenze corporative dei magistrati. Vero è che, malgrado tutte le carenze, reali o presunte, il sistema giudiziario è veloce ed implacabile nei confronti di soggetti non assistiti, dei più deboli e dei marginali, frequentemente accusati di reati bagatellari. Gli altri, se non trovano qualche toro pronto a scendere nell’arena a loro difesa, dispongono comunque di qualche altro atout, possono contare su mille pastoie procedurali, su stuoli di legulei e su conflitti di attribuzione da sollevare davanti alla Corte Costituzionale. Lo spettacolo di un Paese sommerso dalla lussuria conclamata delle classi dirigenti, immerse nella melma pur di difendere il loro particolare, è grottesco e ci ridicolizza agli occhi del mondo. I media stranieri si chiedono come sia possibile che gli Italiani continuino a sopportare i raggiri e le messe cantate di un uomo dedito alla menzogna, come anche giudizialmente acclarato fin dal 1990. Per quanto attiene allo scandalo della loggia P2, scoppiato nel 1981, i giudici della Corte d’Appello di Venezia scrivono: “Ritiene il Collegio che le dichiarazioni dell’imputato non rispondano a verità (…), smentite dalle risultanze della commissione Anselmi e dalle stesse dichiarazioni rese del prevenuto avanti al giudice istruttore di Milano, e mai contestate (…). Ne consegue quindi che il Berlusconi ha dichiarato il falso, rilasciato dichiarazioni menzognere e compiutamente realizzato gli estremi obiettivi e subiettivi del delitto di falsa testimonianza. Ma il reato va dichiarato estinto per intervenuta amnistia”. Le domande che ci pone la stampa estera, specialmente se anglofona, sono ovvie nella loro semplicità. Altrove il politico che mente, anche se lo fa a riguardo della vita privata, viene sanzionato, la sua carriera pubblica è bruciata. Perché in Italia non si percepisce alla stessa maniera il decoro dovuto al ruolo istituzionale? Si possono offrire diverse risposte, ma ad ognuna si possono associare almeno altre due spiegazioni: è in atto un avanzato esperimento sociale di controllo e di consenso basato sul quasi monopolio televisivo che addormenta le coscienze, quelli che contano maggiormente non vogliono togliere altro ossigeno al governo Berlusconi. L’esecutivo in carica ha piegato il lavoro ai desiderata del grande capitale ed ha prevalentemente legiferato a tutela delle classi economicamente più forti. Toglie ai poveri per dare i ricchi. Lo fa quasi sempre in maniera subdola, ma è un’opera condotta con stile metodico. Basti pensare che se verrà applicata la cedolare secca sulle locazioni i grandi proprietari immobiliari risparmieranno circa un miliardo di euro l’anno, mentre i cittadini debbono fare i conti con un’inflazione reale che erode pesantemente i redditi più bassi. Da questo mese le corrispondenze con l’estero hanno subito aumenti che oscillano dal 15% al 138%. E’ questo e non la pruderie, è l’illegittimità dei comportamenti, è l’attacco scomposto a chi dissente, è l’accerchiamento al ridotto di quei magistrati che non intendono piegarsi, è la salvaguardia di un sistema di checks and balances che dovrebbe spingere la società civile ad un maggiore impegno di quanto abbia fatto fino ad ora. Le provviste di principi e di regole democratiche sono state intaccate oltre misura, è ora di abbandonare il caldo dei comignoli e prepararsi ad una nuova primavera. Dato il contesto è lecito supporre che ci siano molti cacciatori in agguato e bisognerà fare attenzione a non tramutarsi in fantaccini di una qualsiasi possibile intifada guidata dall’alto. Alla parodia della vittima sacrificale va opposta in ogni sede la forza dei fatti.

Antonio Bertinelli 29/1/2011

Pubblicato da antoniobertinelli

Melius cavere quam pavere

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