Quando suona la campana
Caroline Atkinson, direttore delle pubbliche relazioni, ha dichiarato che il Fmi è pronto a sostenere l’economia dell’Egitto non appena la situazione politica si stabilizzerà. Sia il governo statunitense che quello britannico hanno dunque scaricato Hosni Mubarak. Devono esistere dei motivi corposi che spingono Barak Obama a solidarizzare con i rivoltosi del Maghreb e, tra questi, non è da escludere la preparazione di una nuova “crociata democratica” per lasciare mani libere a nuovi e pressanti equilibri di potere geo-economico. I Popoli arabi non tollerano più di vivere sotto il tallone di regimi brutali, Stati di polizia che praticano la tortura, negano le libertà fondamentali ed affamano le masse, ma è pur vero che tutte le rivoluzioni annoverano attori con scopi e programmi fortemente differenziati. Il cacicco egiziano, prendendo a pretesto l’amore per il suo Popolo, non vuole proprio andarsene ed è deciso a morire da Presidente. Se questo dovesse accadere non ce ne rammaricheremmo. Nella disputa tra i vari soggetti predisposti o predestinati ad occupare i vertici della piramide con cui si può rappresentare una comunità il più ambito trofeo è il potere. Nella contesa, a volte sanguinaria, per salire o per mantenere la posizione raggiunta il rischio di soccombere fa parte del gioco. In Egitto la miseria è dilagante, l’ex pilota militare Mubarak ha accumulato un patrimonio di quaranta miliardi di dollari, è stato per trenta anni un autocrate liberticida ed infine ha fatto scorrere il sangue dei suoi oppositori. Sarebbe nell’ordine delle cose se perisse di spada. I sommovimenti popolari egiziani, se già non lo sono stati, saranno presto pilotati. Il premio Nobel Muhammad al- Barade’i è uno di quei personaggi che l’Occidente ha posto tra i propri beniamini e non tutto depone a favore della sua personale trasparenza. Il generale Omar Suleiman, essendo stato capo dei servizi segreti, proprio per la tipicità di chi ricopre certi incarichi, è ancor meno idoneo a garantire quel desiderio di democrazia manifestato sulle piazze. Sugli intrighi di un sistema di potere interconnesso, sulla presenza di invisibili direttori d’orchestra, specialmente nel corso di fibrillazioni popolari, è molto difficile fare luce. E’ invece certo che, come dimostra anche la pervicacia di Mubarak, per mettere fine all’epopea di un egocrate non ci si può sempre avvalere di metodi ordinari. Gli egiziani che hanno perduto il fervido slancio nei confronti del vecchio rais stanno versando il loro sangue per le strade a causa dei Baltagueyya organici al regime. Cosa dovrebbe fare quel 60% di Italiani che non apre più ex abundantia cordis nei confronti del Cavaliere di Arcore che, per pur di salvare lo scranno, ha offerto ai pidini la svendita delle partecipazioni statali in Eni, Enel, Finmeccanica, Terna, Stm, Poste, Poligrafico, Fincantieri e Anas? La proposta non ha avuto successo, ma le sue risorse per continuare a galleggiare politicamente, mentre l’Italia affonda, sono notoriamente illimitate. Checchè ne dicano i suoi flautati laudatores, il premier sta costringendo l’intero Paese a giocare con le carte che lui stesso distribuisce prendendole da un mazzo truccato e, come se non bastasse, è ben determinato a far saltare il tavolo. Può comprarsi quotidianamente la maggioranza parlamentare, continuare a legiferare per se e per gli amici abusando dell’istituto della decretazione e ad insultare la Magistratura, cosa che sembra solleticarlo in maniera particolare specialmente quando si trova all’estero. E’ palese che viviamo ormai in una Repubblica denegata e con una Giustizia sempre più intimidita. In sovrappiù dobbiamo prendere in considerazione anche l’insussistenza rappresentativa di chi teoricamente potrebbe subentrare a dirigere un esecutivo di “liberazione nazionale” ed è invece già pronto ad eseguire istruzioni in contrasto con essa. Per ristabilire la solvibilità dell’Italia, cosa che affligge, tra gli altri, i vari papabili alla successione, bisognerebbe ridurre drasticamente il debito “sovrano”. Questo richiede una crescita del Pil tale da superare i tassi d’interesse pagati dallo Stato, un avanzo di bilancio (ulteriori accettate alla spesa pubblica) o una miscela di entrambi i fattori. Data la combinazione perversa degli alti costi pagati al finanziamento, della bassa crescita economica e degli alti livelli del debito, sarà socialmente insostenibile uscire da circolo vizioso in cui siamo stati spinti dai politici al servizio di banchieri e finanzieri. La ricetta preparata dalla Germania e dalla Francia prevede di abolire i sistemi di indicizzazione dei salari, favorire la mobilità del lavoro, armonizzare i sistemi di tassazione sulle società e sulle persone fisiche, collegare le prestazioni previdenziali al mutante quadro demografico (innalzando dove serve l’età pensionabile) e introdurre nelle Costituzioni nazionali un limite al deficit per arginare l’indebitamento. Bruxelles si sta preparando all’ennesimo attacco contro i ceti più deboli, e lo farà su scala continentale. Il nostro primo ministro, recatosi oggi nella capitale belga solo per inchinarsi e sposare delle pesanti direttive oligarchiche, anziché tacere come imponevano le circostanze, si è avvalso del pulpito per dichiarare che l’Italia è commissariata dalle Procure. Passi che prenda a schiaffi un Parlamento di nominati, prevalentemente costituito da soggetti provenienti dallo stesso milieu, con notevoli comunanze attitudinali, con un’alta percentuale di indagati e di già condannati, ma non può continuare a pretendere che anche i tribunali si mettano a sua disposizione. Persino Giulio Andreotti si è lasciato giudicare ed è lecito ritenere che la verità giudizialmente accertata si sia discostata molto dalle verità connesse al suo ineguagliabile cursus honorum. Non condividiamo le ragioni per cui altri esigono di poter fuggire dai processi. Devono essere simili a quelle che spingono Mubarak a non volersi allontanare dal Cairo. Il loro decantato amore per il Paese.
Antonio Bertinelli 4/2/2011