vecchi pensieri 82 (La piazza, ovvero ineluttabilità e rischio)

La piazza, ovvero ineluttabilità e rischio

Per la classe dirigente è iniziata l’epoca del dissenso urlato. Le contestazioni non albergano solo in Sicilia, dove ormai i politici di Roma evitano di mettere piede, ma anche in altre parti d’Italia. A L’Aquila il popolo delle carriole se la prende con tutti, dal sindaco, all’arcivescovo, fino al Governo nazionale. A Como è stato contestato Marcello Dell’Utri, a Venezia Gianni Letta, a Torino Renato Schifani e Raffaele Bonanni. A Napoli i dipendenti delle discariche hanno indirizzato una pernacchia collettiva “a tutti coloro che hanno gestito i rifiuti dal 1993 ad oggi ed hanno venduto la propria dignità per denaro o potere”. Di sicuro le proteste andrebbero calibrate ed il lancio di un lacrimogeno, anche se per difendersi dalle sediate, non ci sembra raccomandabile ma, secondo Aristotele, “non conosciamo il vero se non conosciamo la causa”. Il Tumulto dei Ciompi del 1378 segna, in Europa, una delle prime sollevazioni popolari per rivendicazioni di natura economica e politica. Nel sistema delle corporazioni i lanieri erano tra i più sfruttati ed erano inoltre esclusi da qualsiasi gestione della società. La storia è costellata di lotte di piazza, a volte violente e sanguinose. La piazza porta spesso con se lo spirito rivoluzionario, è simile ad un fiume carsico che ricompare saltuariamente in superficie, evidenziando gli umori profondi di una popolazione che, ad un certo punto, avverte l’esigenza di non affidare più ad altri il proprio destino. Le lamentele dei politici per gli “eccessi” dei dimostranti lasciano il tempo che trovano. Non è affatto improbabile che qualcuno rimesti nel torbido. Per certi aspetti il ventilato esacerbarsi dello scontro sociale sembra essere stato programmato e già messo in conto. Al nostro Paese, scientemente espropriato di una pur apparente sovranità popolare e a rischio di secessione federalista, è stata preclusa la strada verso un futuro degno di essere vissuto. Gli scandali della “casta” hanno imperversato e l’attività legislativa ha mirato a salvaguardare esclusivamente interessi di parte, ad eliminare libertà più o meno consolidate e ad eludere i controlli della Magistratura. Basti citare l’equiparazione tra blog e stampa, il ddl sulle intercettazioni o il “processo breve”. Scuola e ricerca sono state ridimensionate fino a perdere del tutto di significato, il diritto del lavoro ha subito attacchi inauditi. Assodato che su questi terreni le garanzie costituzionali rappresentano un inciampo non sono mancati ripetuti assalti alla Carta. La chiusura o la delocalizzazione di centinaia di imprese, la distruzione di un’infinità di posti di lavoro, il bassissimo livello delle retribuzioni, la destrutturazione del welfare, il gigantesco spostamento di reddito dai salari ai profitti, l’enorme evasione fiscale hanno causato una pesante regressione del livello di vita di milioni di persone. Essendo l’opposizione storica complice e prigioniera di questa cultura, ci sembra fisiologico che il malessere diffuso cerchi sbocchi al di fuori di essa. Amministrare è diventato troppo spesso sinonimo di delinquere ed è comprensibile che un giovane rifugga dalle ipocrisie e dalle liturgie. C’è ormai un numero enorme di senza voce, è allora così biasimevole fischiare un politico o un sindacalista organico? Questo sistema di governo ha rinnegato tutti i diritti collettivi e lo ha fatto senza limitazioni di mezzi. Banchieri, finanzieri, padroni, politici, pseudo-sindacalisti e scribacchini possono sempre trovare una tribuna da cui pontificare, ma agli altri cosa rimane per far sentire la propria voce? Resta l’alea della piazza che, in assenza di un’inversione di rotta politica, può verosimilmente esitare verso il peggio. Abbiamo visto i blindati sfondare il cancelli dell’Università La Sapienza a Roma, abbiamo sentito crepitare le mitragliatrici a Bologna, siamo passati per vari tentativi di golpe, abbiamo assistito alla nascita di Ordine Nuovo, di Avanguardia Nazionale, di Anno Zero, delle Brigate Rosse, dei Nap, dei Combattenti per il Comunismo e di tante altre formazioni “rivoluzionarie” con annesse scie di sangue. La nebbiosa storia politica italiana inizia a Milano il 12 dicembre del 1969 con la bomba piazzata nella Banca Nazionale dell’Agricoltura. Non sarà una strage isolata, altre cinque insanguineranno il Paese negli anni settanta. A datare da quell’episodio le aggressioni e gli omicidi tra fazioni contrapposte raggiunsero fino ai primi anni ottanta picchi elevatissimi. In quel clima i neofascisti diventarono bersagli e molti vennero uccisi così come accadde ai militanti della sinistra. In quel periodo tante giovani vite, divise per le idee, grazie all’aberrante logica dell’occhio per occhio, furono accomunate nella morte. Non tutti ricordano i nomi delle numerose vittime frutto degli “opposti estremismi”, ma chi visse quegli anni ha sperimentato i perversi effetti delle collusioni tra eserciti clandestini, servizi segreti, organizzazioni criminali comuni e politica. Su quel palcoscenico si mossero in tanti e non certo per amor di patria. Vale la pena di ricordare che il Ministero degli Interni disponeva di un’efficiente rete informativa inserita negli ambienti di estrema sinistra. La rete di Ronga era composta per lo più da estremisti, definiti ironicamente “gli extraparlamentari del Viminale”.

Antonio Bertinelli 10/9/2010

Pubblicato da antoniobertinelli

Melius cavere quam pavere

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