vecchi pensieri 83 (Vite a perdere)

Vite a perdere

I suicidi per motivi di lavoro occupano sempre più frequentemente le cronache locali. C’è chi si impicca, chi si da fuoco e chi si lancia da un terrazzo. Anche se i giornali ed i tg osservano il silenzio strutturale instaurato dal berlusconismo, c’è in atto un fenomeno indotto dalla crisi economica che vede soccombere un dark number di uomini, prevalentemente giovani. Si tolgono la vita operai, artigiani, piccoli imprenditori e persino brillanti laureati alla vana ricerca di una collocazione dignitosa. Ogni vicenda lascia un grande senso di smarrimento ed induce a riflettere sui dilanianti percorsi interiori che spingono alcuni a questo gesto estremo. Qualche giorno fa, a Palermo, Norman si è lanciato dal settimo piano della facoltà di lettere. Se fosse stato il rampollo di un “potente”, senza che qualcuno ne valutasse i meriti, si sarebbe certamente sistemato nell’Ateneo dove stava svolgendo il suo dottorato di ricerca e comunque non avrebbe avuto sorte peggiore di una qualunque trota padana. A lui è stato accordato l’“onore” di finire sulla prima pagina di un quotidiano, le altre vittime dell’epidemia silente passano per lo più inosservate. La sua morte raggela come tutte le altre, ma ad essa, a meno che non si tratti di un refuso tipografico, si aggiunge un particolare degno di nota. Il papà di Norman, giornalista, che aveva tentato invano di trovargli un’occupazione, versava circa un quarto dei suoi emolumenti mensili ai politici per i quali lavorava. C’è già chi asserisce che i suoi bonifici erano effettuati su base volontaria. Banditismo e potere si intrecciano mentre la prassi politica imperante ci sta persuadendo nell’accettare che i governanti possano prevaricare finanche con il crisma della legalità. L’assetto mediatico del regime ha lentamente cambiato la forma mentis e l’immaginario collettivo tanto che, per dirla con Giovenale, in cambio del suoi misfatti, c’è chi ha avuto la corona anziché la forca. Coloro che non vogliono essere complici subiscono le estorsioni della “casta”, pagano pegno al turpe lucrum di chi non governa ma comanda ed assistono impotenti al collasso complessivo dell’Italia. La doppiezza, l’insolenza, la grettezza e l’egoismo sono le peculiarità della nuova classe dirigente. Quando esisteva sia la sanzione sociale che la certezza della pena, la collaborazione fra criminalità organizzata e politica era episodica e dissimulata, oggi è regola generale ed è esplicita. Mentre c’è chi vede traballare le sicurezze minime e finisce magari per ammazzarsi, gli alfieri delle libertà soffocano quotidianamente quelle dei cittadini, esercitano le loro fino all’arbitrio, reclamando per di più il diritto di non rendere conto a nessuno. Il loro primo nemico sono le leggi, ora “manettare”, ora “ingiuste”, ora “antiquate”. Gradiscono quelle che offrono impunità per il white collar crime, che consentono di precarizzare il lavoro, di schiavizzarlo o di farlo scomparire dal già ristretto orizzonte dei giovani. Va riconosciuta maggiore onestà intellettuale ad alcuni farabutti dichiarati che a certi sociopatici con incarichi istituzionali. Al Capone affermò che prima di entrare nel racket non immaginava quanti imbroglioni vestivano elegantemente e si atteggiavano a galantuomini pur arricchendosi con affari sporchi. Va da se che denaro e potere siano tra loro in perfetta osmosi, a volte fino a modificare il corso della storia. Il Duca di Wellington non avrebbe potuto pagare l’esercito impiegato nella battaglia di Waterloo senza l’aiuto dei Rothschild, la cui banca, dopo la disfatta napoleonica, ottenne il contratto per il pagamento dei tributi agli alleati della settima coalizione antibonapartista. Le rivolte e le rivoluzioni hanno sempre fatto da catalizzatori di ideali, poi magari, come quella francese, hanno contribuito più all’arricchimento di qualche decina di famiglie che al riscatto dei sans culottes. La “rivoluzione” italiana, iniziata con Tangentopoli, grazie anche al “Mattarellum” e al “Porcellum”, ha visto invece una masnada di tagliaborse immergersi in un’orgia di potere spingendo il Paese alla deriva economica e sociale. In tale contesto il lavoro è diventato uno dei fattori d’impresa, subordinato anche alla logica della globalizzazione per cui i disoccupati sono solo un fastidioso danno collaterale. Le citate leggi elettorali e la diffusa vocazione dinastica hanno assicurato l’impermeabilità e la separatezza delle classi dominanti. C’è insomma spazio e possibilità di adeguate sistemazioni per chi ha le aderenze giuste, per i “figli di” e per quelli di puttana. Gli altri, quelli che non vogliono entrare nella filibusta o soggiacere alle sue regole, restano al palo, retrocedono, emigrano o tolgono il disturbo suicidandosi. Il disagio e la solitudine, anche se hanno il pudore di nascondersi, sono in vertiginosa ascesa. Il circuito perverso della cooptazione, in antitesi ai principi di equità e giustizia, ha lavorato in profondità ed è ormaii potenzialmente dirompente. Fino ad oggi il darwinismo sociale made in Usa, con la conseguente mercificazione dei mondi vitali e dell’habitat culturale, è stato garantito con la contraffazione televisiva e con il sovvertimento delle funzioni istituzionali. Quanto potrà allargarsi ancora la forbice tra dominanti e dominati senza portare conseguenze esiziali anche per i primi? Il diritto inalienabile di poter vivere decorosamente e la possibilità di provvedere con il lavoro a se stessi e alla propria famiglia sono aspetti importanti sia per il benessere psico-fisico della persona che per una convivenza civile degna di essere definita tale. In Veneto, là dove furoreggiano il nepotismo e le truffe sotto le insegne del Carroccio, la Cig sta per finire e ottantunomila lavoratori rischiano di finire sul lastrico. Nel profondo Nord “Roma ladrona” opera da anni in franchising. L’odioso sfruttamento ed ancor più la disoccupazione portano alla sindrome d’invisibilità, da cui prendono origine la diaspora dei talenti, la spinta al suicidio, l’apatia o le insurrezioni. Norman, come tanti altri che lo hanno preceduto, è soprattutto vittima di un sistema di potere che uccide, già nella culla, ogni speranza.

Antonio Bertinelli 17/9/2010

Pubblicato da antoniobertinelli

Melius cavere quam pavere

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