vecchi pensieri 61 (Elogio della renitenza)

Elogio della renitenza

Ci sono frangenti in cui la pronta e cieca obbedienza verso il leader segna la linea di demarcazione tra vittoria e sconfitta, tra vita e morte. C’è necessità di una guida quando si opera in qualche sport di squadra, serve una linea di comando in casi di emergenza, durante una missione di guerra, si impone il ruolo di un capitano ovunque la decisione che riguarda un gruppo, se non immediata, sarebbe pregiudizievole per la manovra che si vuole portare a buon fine. Il signorsì trova dunque ragione di esistere in circostanze particolari, ma non sempre il capo ha i requisiti sperati e gli ordini appaiono meritevoli di essere eseguiti. Al suono di sconsiderati jawohl, dal 1939 al 1945 l’Europa è stata messa a ferro e fuoco. Per l’esecuzione di un ordine Nagasaki ed Hiroshima hanno conosciuto la devastazione della bomba atomica. Fin dalla metà degli anni 40 dello scorso secolo alcune nazioni occidentali, hanno usato i propri cittadini come cavie umane in esperimenti con radiazioni, armi chimiche, armi biologiche, droghe psicotrope, vaccinazioni e sterilizzazioni. Intere popolazioni sono diventate animali da laboratorio alla mercè di cedevole personale medico, scientifico e militare. Oggi lo yes sir pronunciato da chi siede alla consolle da cui guida aerial drones armati di missili semina morte e distruzione in Afghanistan. Le obbedienze di altri soldati hanno fatto nascere giardini degli orrori in Cecenia, in Inguscezia, in Ossezia e in Daghestan. Che siano pronunciati per senso del dovere o per tornaconto personale, a volte, alcuni signorsì possono cagionare sfaceli. E questo accade anche quando si tenta di militarizzare le istituzioni di un Paese solennemente dichiarato democratico, ma praticamente in balia di un falso liberismo senza regole, assoggettato a padroni insofferenti al potere giudiziario, all’informazione libera, a qualunque forma di controllo e di critica. Abbiamo visto militarizzare le piazze della protesta, abbiamo visto militarizzare le discariche campane, abbiamo visto militarizzare il terremoto dell’Aquila, abbiamo visto la militarizzazione dell’aiuto umanitario ad Haiti mettendo in vetrina la portaerei Cavour, gli “obiettivi sensibili” sono controllati da militari, vedremo militarizzare i siti destinati ad accogliere le centrali nucleari in programma (già rifiutate dagli Italiani con i tre referendum del 1987) ed abbiamo una maggioranza parlamentare militarizzata. Tutti gli indicatori fondamentali dell’economia attestano che il Paese è in rapido declino eppure, tra un proclama e l’altro, tra una celebrazione e l’altra non si trova di meglio da fare che pretendere quella disciplina utile solo ad oscurare i fatti ed eventualmente a manganellare i lavoratori del Teatro della Scala di Milano che protestano per i tagli agli enti lirici. Quando la “platea” in strada rumoreggia si invia la polizia a sequestrare i megafoni, poi si trasmettono in Tv solo gli applausi del “loggione” riempito con immarcescibili yes man dalle facce di bronzo. Scrive Tacito “(…) postquam bellatum apud Actium atque omnem potentiam ad unum conferri pacis interfuit, magna illa ingenia cessere, simul veritas pluribus modis infracta, primum inscitia rei publicae ut alienae, mox libidine adsentandi aut rursus odio adversus dominantis; ita neutris cura posteritatis inter infensos vel obnoxios (…)”. (La battaglia di Azio decise che alla pace si doveva pagare il prezzo della concentrazione di ogni potere nelle mani di un solo uomo, così i grandi ingegni si eclissarono e la verità ne risultò avvilita; il primo motivo fu il disinteresse per la vita pubblica minata dagli interessi particolari. Poi sopravvennero una vera e propria smania per l’adulazione e, per converso, l’odio verso chi comandava. E comunque a nessuno, ostile o sottomesso, stava a cuore la posterità). Negli oltre quarant’anni di impero Gaius Iulius Caesar Octavianus, successivamente anche Augustus per servile conferimento del Senato, introdusse innovazioni di particolare rilevanza e formò una nuova classe dinastica. Lasciamo volentieri agli storiografi il compito di frugare tra luci ed ombre di quel principato a vita e ci soffermiamo invece sulla rotta autocratica imposta all’Italia. Grazie alla “pace” inseguita dalla dirigenza del Pd e a quella quotidianamente auspicata dal Quirinale siamo vittime di un gioco illusionistico che nasconde tutti i maggiori problemi della realtà nazionale. Secondo Standard & Poor’s il nostro tasso di disoccupazione supera il 10%. Prometeia ritiene che si arriverà presto all’11%. Le politiche messe in atto dai grandi gruppi come Telecom lasciano apparire scenari ancora più foschi. Crescono le esecuzioni immobiliari per morosità di vario genere e si amplia l’indebitamento delle famiglie. La questua si è ormai estesa in ogni strada e in ogni angolo delle città. Il numero dei pasti offerti dalla Caritas è aumentato. Per continuare ad intrupparsi e per applaudire le “riforme volute dagli Italiani”, in determinati casi, ci vuole uno stomaco di ferro. Chi partecipa al ballo in maschera riceve ricchi premi e cotillons mentre chi snobba l’anfitrione viene espulso dal Palazzo, ma non è forse più gratificante pensare in proprio ed uscire dal codazzo dei cortigiani? Non vediamo una grande differenza tra un contractor che opera in Iraq ed un politico che spinge bottoni a comando. Al novero degli annuitori, alla pronta disciplina di chi è avvezzo a dire signorsì in ogni congiuntura preferiamo le titubanze dei renitenti. William Bligh era un uomo dal temperamento poco tollerante. Ancor prima di diventare “inetto” governatore del Nuovo Galles del Sud, mentre era capitano della nave Bounty, non lesinava frustate ai marinai ed offese agli ufficiali. Il suo secondo, Christian Fletcher, dopo aver subito due umiliazioni, si ammutinò e, sguainando la spada, si limitò a dire: “Not a word, sir, or you’re dead”. Un suo antenato, Illiam Dhone, aveva capeggiato una rivolta contro il dominio inglese sull’isola di Man. Possiamo dire che nelle vene di Christian scorreva il sangue del ribelle, ma che genere di sangue scorre nelle vene di chi striscia ai piedi di Cesare?

Antonio Bertinelli 30/4/2010 

Pubblicato da antoniobertinelli

Melius cavere quam pavere

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