vecchi pensieri 50 (Plata o plomo)

Plata o plomo


Il 29/4/2008 è iniziata la XVI legislatura della Repubblica. Con il D L n. 112 del 25/6/2008 è stato soppresso l’Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella Pubblica Amministrazione. L’istituto, già operante sotto gli auspici della Convenzione delle Nazioni Unite, è così finito sotto la mannaia della politica italiana come “ente inutile”. Oggi la Polizia deve confrontarsi con una serie di inadeguatezze operative. Il mese scorso a Milano mancavano seicento agenti, rimanevano inoltre ferme duecentocinquantasette auto perché non c’erano i soldi per le riparazioni. A Palermo erano in panne centoquaranta macchine così da dover dimezzare quelle in servizio sul territorio. Su base nazionale les cahiers de doleances che riguardano le Forze dell’Ordine sono corposi. La Magistratura invece deve vedersela con un codice di procedura penale che è un percorso ad ostacoli, con una serie di leggi pro reo, con i vuoti di organico (anche amministrativo), con le norme attualmente in itinere parlamentare e con attacchi di vario genere provenienti da ogni dove. Quando El Patròn colombiano diveniva uno degli uomini più ricchi del mondo trafficando cocaina, l’Italia, malgrado il malaffare diffuso, era ancora un Paese dove per il cittadino aveva senso parlare di legalità. Basti pensare alle note vicende che, partite dal Pio Albergo Trivulzio di Milano e successivamente allargate a tutto il territorio nazionale, suscitarono una tale indignazione da indurre il legislatore a sopprimere l’immunità parlamentare. Mentre Pablo Emilio Escobar corrompeva un numero incalcolabile di ufficiali governativi, giudici e politici, mentre uccideva personalmente i gregari con cui entrava in disaccordo, mentre praticava la strategia del “plata o plomo” (soldi o piombo) noi non avevamo politici affetti da velleità dispotiche, non avevamo ancora il “giusto processo” con una pleiade di eccezioni procedurali, avevamo dei giudici che depositavano annualmente il doppio delle sentenze che riescono a depositare oggi ed i mafiosi sotto indagine potevano ben dire: calati iuncu ca passa la china. Oggi sulla strada dei cambiamenti voluti (?) dagli Italiani vediamo lanciare pietre contro l’intero Ordine Giudiziario. R. Brunetta dice che i magistrati aggirano la Costituzione, le mafie rialzano il tiro mettendo bombe, il Premier, con la sua ultima esternazione, afferma che non va in tribunale per evitare i “plotoni di esecuzione” mentre G. Napolitano invita tutti alla sua visione di concordia. Se ci è concesso, vogliamo sottolineare che non fu opportuno mettere sul piano di semplici baruffe personali lo scontro tra la Procura di Salerno e quella di Catanzaro. Non fu esemplare rispondere: ”Ma dove sono i profili di … me la rimandano dopo quindici giorni e debbo firmare per forza”. Date le circostanze, non fu felice neanche la seguente rampogna: “(…) Quanti appartengono alla istituzione preposta all’esercizio della giurisdizione, si attengano rigorosamente allo svolgimento di tale funzione (…)”. Pur con tutti i distinguo, nonostante i legacci normativi che continuano a renderne arduo il compito, non è forse la parte sana della Magistratura che fa da ultimo e fragile baluardo alla degenerazione della politica e degli affari di cui questa si fa protagonista e garante? Ci guardiamo bene dal difendere aprioristicamente i fannulloni, gli invidiosi, gli incapaci, gli psicotici, i giudici militanti o i protagonismi di qualche PM. Nell’invocare questo o quello, i rilanci per demolire lo Stato di Diritto non sembrano avere fine. La proposta di legge di J. Santelli prevede addirittura una serie di trappole disciplinari tali da scoraggiare qualunque magistrato abbia voglia di scavare oltre il “consentito”. Qui ormai è in gioco il futuro del Potere Giudiziario quale garanzia di checks and balances. Diamo ai “Metta” quello che è dei “Metta”, attiviamoci per ridare dignità e mezzi idonei a chi è spesso costretto a fare una vita blindata o ad indossare calzini d’ordinanza brachiniana. Se fossimo chiamati ad operare nell’interesse generale al di sopra delle parti, e ne avessimo i requisiti, diventeremmo sospettosi nel ricevere inaspettati e ripetuti complimenti da una di quelle in causa. Se poi gli elogi arrivassero da chi è avvezzo a cambiare con facilità padrone ne deriverebbero maggiori diffidenze. Alterius non sit qui suus esse potest.

Antonio Bertinelli 24/1/2010

Pubblicato da antoniobertinelli

Melius cavere quam pavere

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