Spioni, spiati e Informazione libera
F. Cossiga ebbe a dire: “Il Sisde è composto da un terzo di ladri, da un terzo di protettori di ladri e da un terzo di persone per bene messe da parte”. Non abbiamo giudizi altrettanto trancianti dell’illustre decano sul Sismi (attuale Aise) ma, data la sua riconosciuta vicinanza all’Arma dei Carabinieri, è probabile che su questo Servizio abbia opinioni più sfumate. Dopo l’ennesima riforma del 2007 sono cambiate le sigle del sistema di informazione e sicurezza ma non sembrano cambiati i metodi operativi. Tutti si spiano a vicenda e pochi vogliono trovare il bandolo della matassa per poter fare un po’ di chiarezza in nome della dignità di questo Paese. Gli Apparati Segreti hanno disarticolato, ricattato, depistato, disinformato e ostacolato per evitare che venisse a galla tutta la feccia italica. Hanno creato cortine fumogene per coprire inconfessabili responsabilità e continuano a schedare chiunque nella prospettiva di poter sfruttare adeguatamente il relativo fascicolo quando se ne presenterà l’occasione. Non esiste mistero italiano che non lasci intravedere l’uso distorto e a volte criminogeno di qualche Servizio. Con il pretesto del terrorismo internazionale, si sta sempre di più rafforzando un diritto speciale dell’Intelligence, un potere nascosto, non eletto, compartimentato, e dunque non adeguatamente controllato, che oltrepassa tutti i confini della legalità e schiaccia ogni elementare forma di autonomia democratica. Si cristallizza l’esercizio di poteri occulti che approfittano dell’indebolimento progressivo della res publica per affondarvi gli artigli e renderla sempre più res privata. Sembra esistere un antico patto di non belligeranza tra rappresentanze politiche e invisibili pupari per cui la Storia d’Italia è costellata di impreviste cadute e di trionfali scalate, di improvvise paure e di inconfessabili complicità, di massacri e di silenzi. Ogni stagione politica è stata accompagnata da una sorta di gangsterismo di Stato, arrivato indenne fino ai nostri giorni sia grazie alla reticenza di chi ne è stato “bersaglio” o di chi vi è rimasto coinvolto più o meno consapevolmente. Esiste da decenni un grande albero che ha così tanti rami da non lasciare intravedere il pozzo nero dove affondano le sue radici. E’ pleonastico affermare che i Servizi Segreti debbano operare con riservatezza e meritino rispetto se il loro scopo è quello di proteggere gli interessi nazionali, ma chi verifica che questo avvenga? Con quali strumenti? Abbiamo visto applicare la strategia degli opposti estremismi, abbiamo visto aiutare golpisti, terroristi e massoni, abbiamo visto bloccare le indagini della Magistratura, abbiamo visto azioni destabilizzanti che hanno distrutto i vecchi partiti per poi dilatarsi e prendere forza dagli azionisti dell’antipolitica. Nell’estate del 1993, quella degli attentati mafiosi di Roma, Milano e Firenze, l’allora Presidente del Consiglio C.A. Ciampi, ebbe problemi con le comunicazioni telefoniche e trovò manomesso il telefono di Palazzo Chigi. In tempi successivi R. Prodi fu sottoposto ad uno screening ripetitivo, trasversale e meticoloso. S. Berlusconi venne controllato nello stesso periodo per due o tre volte. Nessuno ha mai voluto bonificare il pozzo nero con il rischio di affondarvi fino al collo. Anche G. Napolitano, quando divenne Ministro degli Interni, si guardò bene dall’autorizzare l’apertura di certi archivi. L’Italia è una Repubblica fondata sul dossieraggio e sul ricatto. Sarà mai fatto un regolare e disinteressato censimento dell’infinita mole di dati sensibili accumulati nel corso dei decenni? Il panorama odierno si delinea con un peggioramento generale dovuto all’esplosione della tecnologia e al moltiplicarsi delle agenzie di spionaggio private per la sorveglianza occulta degli Italiani ormai organizzata su scala industriale. C’era un tempo in cui alcuni 007 aspettavano l’uscita del Manifesto per poi relazionare doviziosamente e così giustificare l’esistenza del loro ufficio, oggi anche G.Tavaroli e soci fanno parte di uno spionaggio superato. Grazie ai satelliti siamo immersi in una miriade di segnali elettronici che alcuni centri militari “fantasma”, come quello di Cerveteri, si peritano di intercettare schedandoci capillarmente, alcuni un pò di più ed in maniera più dettagliata di altri. L’Italia che vorremmo è ben diversa da quella che è. “Andate a vedere là, al Castello Utveggio, quella è roba vostra” ha detto recentemente Totò Riina parlando per la prima volta con i magistrati e accreditando l’ipotesi (già ventilata da G. Genchi) che nella morte di P. Borsellino ci sia la mano dei Servizi Segreti. Spesso qualcuno ha suggerito di bonificarne gli archivi e fissare una scadenza al segreto di Stato, consentendo maggiore trasparenza sulle raccolte di notizie. In fondo in fondo, è così tanto lo sterco tra cui rimestare che, quasi nessun politico lo vuole effettivamente. La prima Repubblica è passata lasciandosi alle spalle una complessa geografia elettorale, la seconda è nata sul sangue delle stragi di Capaci e di via D’Amelio.
La Federazione della Stampa ha indetto una manifestazione per Il 19 settembre, eppure una grande quantità di giornalisti ha sempre ignorato tutto quello che ha reso progressivamente l’Italia del tutto invivibile per la gente comune. Predati dalla politica, predati nei servizi pubblici, predati nei diritti minimi, i cittadini sono stati sempre più disinformati, sempre più sfruttati e, in aggiunta, spiati oltre ogni misura. Molti di quelli che oggi inneggiano alla libertà d’informazione hanno dimenticato che, durante il Governo Prodi, alla fine del 2007, con il benestare dell’Ordine dei Giornalisti, venne redatto un ddl bipartisan che prevedeva, per i blogs, gli obblighi di avere una casa editrice e dei giornalisti professionisti come direttori responsabili. In Italia il giornalismo d’inchiesta è agonizzante. Chi fa questo mestiere seleziona in maniera più o meno consapevole quello che deve scrivere, che è comunque influenzato dalla linea editoriale, da altri mass media e dall’autocensura. Più che informare, se non disturba la categoria degli intoccabili, mette in scena la sua visione della notizia. L’informazione libera non si concilia con l’asservimento ad un gruppo editoriale, richiede obiettività, dedizione, tempo e coraggio. Le notizie dell’Ansa, un pizzico di padronanza linguistica, le capacità proprie dei pappagalli ed un po’ di malafede garantiscono lo stipendio ma non certo la qualità dei contenuti. Lo scoop pilotato, se non intacca il bubbone del malaffare fattosi Stato e se non è al servizio dell’interesse comune, diventa solo chiacchiericcio senza costrutto. Non vi sono dubbi che gli apparati d’Intelligence siano stati potenziati oltre ogni immaginazione. Non è dato sapere quanti di quelli che vi lavorano sono fedeli alle Istituzioni e quanti contribuiscono ad inculcare nei cittadini l’idea che da questo Stato a sovranità limitata è meglio guardarsi. Ci sono agenti che avviano imprese con soldi pubblici, ci sono agenti presenti sul web, nei tribunali, nelle redazioni dei giornali, dietro le utenze telefoniche, nelle associazioni, nelle onlus, ai convegni presenziati da intellettuali, durante la presentazione di nuovi libri, insomma ovunque ci sia la possibilità di schedare e/o la pretesa necessità di controllare. Verità, sospetti e menzogne confluiscono nei relativi fascicoli personali, dalle convinzioni religiose a quelle politiche, dall’attività occupazionale agli hobbies. Non ci appassiona conoscere le tariffe delle accompagnatrici di alto bordo, il cursus honorum di qualche pupo o le competenze “tecniche” di qualche ministro, ma sarebbe quanto mai utile, nell’interesse generale, indagare in merito al numero esatto delle spie in organico, a quelle fuori organico, alle catene di comando e, più ampliamente, al budget assegnato annualmente per l’espletamento di compiti istituzionali (?) su cui, dati i trascorsi, è lecito nutrire più di un dubbio. Ci auguriamo che qualche giornalista dallo spirito libero della Fnsi, anziché fare ammuina, omologarsi o, peggio, diventare connivente, raccolga il guanto della sfida e provi almeno ad indagare sugli esorbitanti costi dell’Intelligence che gravano sul bilancio pubblico.
Antonio Bertinelli 10/9/2009