“O voi ch’avete l’intelletti sani mirate la dottrina che s’asconde sotto il velame delli versi strani”. Citiamo Dante, ma non abbiano la velleità di spiegare il trascendente. Non vogliamo richiamare l’attenzione sulle modalità con cui gli angeli intervengono lungo il tragitto nell’aldilà al fine di svolgere la loro azione salvifica. Intendiamo esclusivamente soffermarci sulle diverse interpretazioni che i magistrati danno all’art. 643 c.p.: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d’infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 206 a euro 2.065”. Secondo la dottrina dominante, il caposaldo di tale precetto sarebbe riscontrabile nell’esigenza di salvaguardare il patrimonio dell’offeso, ciò nondimeno alcuni giuristi prediligono considerare oggetto di tale bisogno la libertà di autodeterminazione del soggetto. In merito alle persone totalmente incapaci d’intendere e di volere, le interpretazioni appaiono divise tra quelli che non reputano che queste persone possano dirsi soggetti passivi del reato, riconoscendo come imprescindibile almeno un minimo di capacità psichica, e quelli che invece ritengono queste persone come possibili vittime. Tale delitto è a forma libera, quindi può essere compiuto con qualunque mezzo idoneo ad indurre la vittima a realizzare l’azione dannosa, senza l’esigenza di ricorrere ad espedienti o raggiri. Tuttavia viene ritenuto che debba essere comunque un’attività positiva, indirizzata a pesare sul processo volitivo della persona, condizionandola in maniera decisiva. Nell’applicazione della norma emergono poi dubbi sugli esiti di tale incidenza sul processo di formazione della volontà. Il legislatore non indica se il danno debba essere necessariamente di natura patrimoniale, o se si possa rilevare anche un torto sotto il profilo extra patrimoniale. In ultimo, per quanto attiene tutti gli altri danneggiati, attualmente sembra che il terzo che subisce discapito non sia contemplabile come persona offesa, ma possa invece ricoprire la posizione di danneggiato dal delitto agli effetti civili. In rapporto all’art. 643 c.p. la Corte di Cassazione, dal 1979 ad oggi, si è pronunciata cinquantanove volte. Piaccia o non piaccia la Corte di Cassazione (Penale, Sez.II,26 marzo 2018 -Ud.2 febbraio 2018- n.13968) non ha ritenuto indispensabile l’espletamento del richiesto (e non disposto) accertamento tecnico sulla persona della vittima. La decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d’ufficio costituisce un potere discrezionale del giudice. Il noto paradosso “iudex peritus peritorum est” non aiuta a dirimere le questioni connesse al reato di circonvenzione d’incapace ed ovviamente, in specificate circostanze, c’è chi ci sguazza. Se guardiamo alle peripezie del prof. Carlo Gilardi, ricoverato tramite TSO in una RSA di Lecco, annotiamo che lo stesso, oltre che per ammissione dei suoi stessi paesani, è stato ritenuto in grado di autodeterminarsi con dichiarazione medica specialistica. Malgrado ciò lui è finito “incarcerato” e non può più disporre come desidera del suo patrimonio, alcuni suoi amici, diversamente ed intenzionalmente beneficiati, sono stati accusati di circonvenzione d’incapace. Ci piacerebbe sapere anche quale destino giuridico ha avuto il regalo fatto dal prof. Gilardi al comune di Airuno per la riqualificazione dell’area Pizzigalli Magno. Anche la storia che riguarda il nostro reclamante è adiacente alla ratio legis dell’art. 643 c.p. La di lui madre, nonostante tutte le proprie riscontrabili defaillances, non è stata sottoposta a CTU. La di lui sorella, documentatamente invalida psichiatrica, solo per quel poco che ci è dato di conoscere, ha subito pressione al fine di denunciare il fratello (suo procuratore generale) per appropriazione indebita; è stata indotta da un avvocato a firmare una procura per una persona morta il 14 agosto 2019. Come d’abitudine, in relazione alla tipologia dei soggetti che interagiscono con l’autorità giudiziaria, si ripropone il tema dell’applicazione/interpretazione della legge. Magari per alcuni la norma si applica, per altri si interpreta. Di non poco conto è anche la questione relativa alla ricerca della verità. Il procedimento giudiziario non è il luogo emblematico dell’etica della ragione comunicativa di Jürgen Habermas, in cui tutti i protagonisti accettando alcune regole del gioco, sono disposte a cambiare opinione se gli argomenti dell’avversario sono più attendibili delle loro. Il confronto tra le parti serve solo a produrre quelle ragioni in grado di demolire le ragioni della parte avversa e a persuadere il giudice con le proprie argomentazioni. L’avere cura delle regole è finalizzato al rispetto dei diritti, se i dettami vengono infranti, la conclusione non potrà dare forma alla “verità” richiesta dal procedimento. La storia giudiziale che interessa il nostro amico non ha la complessità che costringerebbe il mitico giudice Brigliadoca di Francois Rabelais al lancio dei dadi per emettere il verdetto. Sarebbe sufficiente che il giudice decidesse secondo iuxta alligata et probata.
17/4/2021 Antonio Bertinelli