L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute mentale come “uno stato di benessere in cui ogni individuo possa realizzare il suo potenziale, affrontare il normale stress della vita, lavorare in maniera produttiva e fruttuosa, apportare un contributo alla propria comunità” Secondo l’OMS, il peso dei disturbi mentali nel mondo continua a crescere e comporta: livelli significativi di compromissione degli andamenti personali come, ad esempio, la difficoltà a svolgere attività quotidiane, nel campo lavorativo, nelle relazioni interpersonali e familiari; un elevato costo sociale ed economico per le persone colpite e per le loro famiglie; rilevanti costi per i bilanci pubblici. Uno degli indicatori impiegati per valutare l’impatto globale di una malattia è il DALY (Disability-adjusted life year). Esso tiene conto degli anni perduti non soltanto a causa di una morte precoce ma anche per invalidità. Nel caso dei disturbi mentali viene ritenuto significativo soprattutto il valore degli “anni vissuti con disabilità” (YLD, Years Lived with Disability) anziché quello degli “anni di vita perduti” (YLL, Years of Life Lost). Secondo il Global Burden of Disease Study 2017, l’analisi più recente e completa sui trend epidemiologici mondiali fa registrare che i disturbi mentali sono responsabili di più del 14% dei DALY. Sempre dallo stesso studio emerge che nel 1990 i disturbi mentali erano la tredicesima causa di inabilità (1.523 DALY per 100.000 persone). Ora sono al sesto posto (1.606 DALY per 100.000 persone). Con dati meno “ermetici” l’OMS ci partecipa che, nel mondo, quasi un miliardo di persone convive con un disturbo mentale e che ogni quaranta secondi una persona si suicida. Nei Paesi a basso e medio reddito oltre il 75% delle persone con disturbi mentali o neurologici e con problemi di abuso di varie sostanze non vengono curate. Secondo gli epidemiologi Richard Wilkinson e Kate Pickett, due colonne portanti della ricerca sulle disuguaglianze di classe nella salute e dei suoi determinanti sociali, le società più eque possono ridurre lo stress generale e migliorare il benessere di tutti i componenti. Negli Stati Uniti, il paese dove le disuguaglianze economiche sono maggiori, imperversa come un’epidemia l’abuso di oppiacei. Secondo i dati dell’CDC americano, il tasso di mortalità per abuso di oppiacei e farmaci psicoattivi è passato da 3 decessi per 100 mila persone del 2000 ai 13,5 del 2016. Parlando di disturbi mentali, E. Fuller Torrey sul “The Wall Street Journal del 5/8/2019” scrive : “Gli US Secret Services hanno pubblicato un rapporto “Mass Attacks in Public Spaces – 2018”. Il rapporto riguardava 27 attentati che hanno causato 91 morti e 107 feriti. Gli investigatori hanno scoperto che il 67% dei sospetti mostrava sintomi di patologia mentale o disturbo emotivo. Nel 93% degli incidenti, le autorità hanno scoperto che i sospetti avevano una storia di minacce o altre forme preoccupanti di comunicazione con gli altri. I risultati sono simili a quelli di un altro studio pubblicato nel 2017 dai Servizi Segreti su 28 di questi episodi. Sembra quindi chiaro che le malattie mentali non curate svolgono un ruolo significativo nell’aumento dell’incidenza delle uccisioni di massa”. In Italia, secondo il rapporto relativo all’anno 2017, gli assistiti dei servizi di salute mentale sono stati 851.189. Per i farmaci antidepressivi la spesa lorda complessiva è stata di oltre 350 milioni di euro con un numero di confezioni consumate superiore a 35 milioni. E’ convinzione comune dei vari specialisti che l’infermità mentale sia il risultato di un’interazione complessa fra diversi elementi, tra cui, fattori genetici, fattori biologici, fattori psicologici e fattori ambientali (inclusi quelli sociali e culturali). Secondo quanto pubblicato dall’OMS nel 2014 con il titolo: “Social determinants of mental health”, la maggior parte delle cause e dei fattori scatenanti dei disturbi mentali appartiene alla sfera sociale, economica e politica. Dagli anni Novanta del secolo scorso il campo della sofferenza mentale fa registrare manifestazioni di disagio poco studiate, come quelle degli “incel”, ossia degli uomini involontariamente celibi. Mancando approfondimenti scientifici in tema non sappiamo quante di tali afflizioni siano disturbi mentali “sotto-soglia”, cioè indicatori di una scarsa salute psichica che comunque non raggiungono il livello per essere contemplati come disturbi mentali veri e propri. Siamo nel campo delle ipotesi anche per quanto riguarda i motivi scatenanti del “morbo incel”. Riteniamo che giochino un ruolo decisivo l’instabilità familiare del proprio nucleo d’origine, la precarietà del posto di lavoro, il culto dell’immagine, l’avvenenza fisica, l’indipendenza economica del “sesso debole”, la disponibilità di soldi, la condizione sociale, la scarsa propensione delle donne a mettere su famiglia con uno “sfigato”, l’ipergamia, l’ansia da prestazione, il timore d’imprevedibili comportamenti femminili. Non deve essere sottovalutato pure il rischio di subire una possibile denuncia per stupro, magari qualche mese dopo aver avuto dei rapporti sessuali con una donna. Inequivocabilmente quella della femminista radicale Anna Ardin fu un’accusa costruita ad hoc per fare arrestare il più scomodo dei giornalisti. La vicenda nacque dai rapporti, in due casi non protetti dal preservativo (rottosi accidentalmente), che Julian Assange ebbe nell’agosto 2010 con due intraprendenti ammiratrici di Stoccolma. L’imputazione è rimasta in piedi a lungo per poi essere lasciata cadere nel 2019. Andiamo adesso con il pensiero al 1989, quando durante un incontro di scrittori a Stanford, in California, Audre Lorde si rivolse alla platea dicendo: “Sono una femminista nera, guerriera lesbica e poetessa madre, e sto facendo il mio lavoro … Chi siete voi e come state facendo il vostro?”. Continuò aggiungendo: “Stare insieme alle donne non era abbastanza, eravamo diverse. Stare insieme alle donne gay non era abbastanza, eravamo diverse. Stare insieme alle donne nere non era abbastanza, eravamo diverse. Stare insieme alle donne lesbiche nere non era abbastanza, eravamo diverse. Ognuna di noi aveva i suoi propri bisogni ed i suoi obiettivi e tante e diverse alleanze. La sopravvivenza avvertiva qualcuna di noi che non potevamo permetterci di definire noi stesse facilmente, né di chiuderci in una definizione angusta … C’è voluto un bel po’ di tempo prima che ci rendessimo conto che il nostro posto era proprio la casa della differenza piuttosto che la sicurezza di una qualunque particolare differenza”. E’ con simili forme di impegno che il femminismo ha finito per ottenere il riconoscimento della “diversa razionalità” femminile da parte della cultura dominante e segnatamente in sede giudiziaria. Alla donna è consentito di far decantare nel tempo le emozioni associate ad un rapporto sessuale avuto con un uomo. Può avere necessità di qualche ora, di una o due settimane e, perché no, magari di qualche decennio. Al momento in cui le sarà totalmente chiara la tipologia dell’esperienza vissuta con il partner deciderà sul da farsi. Ci soffermiamo solo su tre storie, accadute in periodi diversi, ma significative. Sono relative alla vicenda vissuta da Dominique Strauss-Kahn (https://antoniobertinelli.com/2020/07/25/vecchi-pensieri-117/), a quella delle giovani abusate durante i festini hard milanesi di qualche mese fa (http://www.opinione.it/societa/2020/11/27/donatella-papi_feltri-condanna-boldrini-facebook-huffington-femminicidio-libero-prevenzione-piddina-hitler/) e a quella del “me too” di hollywoodiana memoria (https://www.lafionda.com/violenza-sessuale-vittima-solo-quando-non-conviene-piu/). Se ci limitiamo ad etichettare i patimenti degli incel uno psicologo, a seconda dei soggetti presi in esame, potrebbe parlare di dismorfofobia, di paranoia e di fobia sociale. Non volendo dissertare sul sesso degli angeli, tralasciamo le classificazioni e riportiamo i punti di vista, i racconti, le percezioni, i timori di queste persone. Dalle loro narrazioni si capisce agevolmente che il loro “male di vivere” è più un problema dell’anima che un derivato da deficit di altra natura. A detta di alcune di loro, in Occidente, la “società tradizionale” è durata fino agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso per poi cambiare velocemente. Prima di allora praticamente ogni uomo aveva una donna, o meglio una moglie, visto che la naturale evoluzione del fidanzamento era all’epoca il matrimonio, la “famiglia tradizionale” appunto. Trovare una ragazza era relativamente semplice, bastava non essere proprio un ragazzo spiantato o avere gravi malformazioni e l’opportunità di crearti una famiglia o avere una vita sessuale ce l’avevi. La società in un certo senso te la garantiva come “ricompensa” per il rilevante contributo che eri tenuto a dare sul fronte dei doveri in quanto uomo. Il cambiamento degli stili di vita, passando per gli anni Novanta, culla dell’ipergamia senza freni, fornisce sempre meno chances ai “meno belli”, fino ad arrivare alla quasi scomparsa delle relazioni amicali degli anni correnti. Oggi la regola è chattare con qualche ragazza che non si conosce, vivere in un contesto che ha il culto illimitato dell’avvenenza, dove si trovano filtri e photoshop dappertutto, si trovano femministe che continuano a lamentarsi perché si sentono discriminate. Ragazze che poi, facendo “login” in un qualunque sito online, hanno immediatamente a disposizione numerose opzioni sessuali. L’ipergamia, inalienabile tratto distintivo della natura femminile, è un dato di fatto, non più contrastato culturalmente come avveniva qualche decennio fa. Addirittura tale carattere, forse anche per la martellante propaganda ginocentrica, è divenuto in poco tempo l’unico criterio regolatore del rapporto tra i sessi. L’attuale struttura sociale non è più orientata alla monogamia e non pone più alcun paletto alla libertà sessuale. Il sesso è presente ovunque ci giriamo, con riferimenti espliciti. La promiscuità è tollerata e spesso incoraggiata. Questo stato di cose è forse il più grande motivo di pena degli incel. Non tanto l’essere estromessi dalle pratiche del sesso, ma esserlo mentre tutti gli altri se ne saziano e, nel contempo, ti fanno sentire un emarginato se non partecipi alla festa. Tra gli Incel c’è chi dice che andare a prostitute non serve a nulla e chi invece sostiene che è la panacea di tutti i mali. Può darsi che la verità si trovi nel mezzo. L’esperienza del sesso mercenario non dovrebbe essere un tabù e non dovrebbe essere nascosta per paura di essere giudicato in maniera negativa. Un uomo non dovrebbe più vergognarsi o sentirsi sminuito solamente perché cerca di soddisfare un proprio bisogno fisiologico pagando una donna. Le femministe vorrebbero rendere impossibile il ricorso degli uomini alle prostitute. Molti sindaci hanno imposto il divieto di sosta e di contrattazione per ottenere prestazioni sessuali, senza parlare delle maxi multe irrorate agli uomini sorpresi ad appartarsi. Gli incel credono che il 20% degli uomini siano “chad”, ragazzi affascinanti che fanno sesso con l’80% delle ragazze. Secondo la loro teoria, da quando il femminismo ha rimosso ogni pregiudizio sulla sessualità femminile, le ragazze vanno a letto con quanti più “chad possibili”, lasciando gli incel a bocca asciutta. L’elemento principale che rende questi uomini poco attraenti all’altro sesso è verosimilmente legato agli aspetti della loro personalità, in particolare ad un’insicurezza di fondo che rappresenta un serio handicap per vivere nel mondo odierno. Gli incel si autoinseriscono in tre differenti categorie: i virgin: coloro che non hanno mai avuto rapporti sessuali (chi li ha avuti spesso dichiara di essersi rivolto a prostitute); i kissless-virgin: coloro che non hanno mai avuto rapporti sessuali e non hanno mai baciato; gli hugless-kissless-virgin: coloro che non hanno mai avuto rapporti sessuali, non hanno mai baciato e nemmeno abbracciato una potenziale partner. Per alcuni di loro la situazione di malessere che vivono appare incontrastabile. Un articolo del “Washington Post”, The share of Americans not having sex has reached a record high (29 marzo 2019), riporta, anche graficamente, l’incremento dei giovani vergini negli USA, un numero che nel 2018 ha registrato un nuovo record. La crudezza delle statistiche, che illustrano anche il divario crescente tra uomini e donne, è stata annacquata con l’inconsistenza delle interpretazioni, perlopiù imperniate sulle carenze della mascolinità: è colpa dei videogiochi, dei bamboccioni, della pornografia e della droga. Le ragioni che stanno dietro al collasso saranno pure innumerevoli, ma sicuramente è meno ridicolo additare la rovina dell’istituto matrimoniale o la dissennata glorificazione della femminilità da parte dei media e dei politici, piuttosto che proseguire a deresponsabilizzare le donne e gettare la croce solo sui maschi. C’è una regola che vale per qualunque individuo: una buona salute mentale è parte integrante della sua salute e del suo benessere. L’elaborazione di politiche a tutti i livelli di governance ed in maniera trasversale a tutti i settori, potrebbe avere un impatto positivo sullo stato psico-fisico delle popolazioni. Sarà per tale ragione che La Global Business Collaboration for Better Workplace Mental Health ha lanciato un’iniziativa sostenuta dall’OMS? I membri fondatori del gruppo, che comprendono amministratori delegati di BHP, Clifford Chance, Deloitte, Hsbc, Salesforce e Unilever, hanno invitato le comunità imprenditoriali a “dare la precedenza all’investimento nella salute mentale di tutti i dipendenti”, sia come necessità aziendale che come imperativo sociale. Se non per altro, questa premura può spiegarsi con lo svantaggioso calo della resa lavorativa del malato e, allo stesso tempo, con la possibilità di fare business fidelizzandolo a qualche psicoterapia o inducendolo all’acquisto di psicofarmaci. Non siamo convinti che ai promotori dell’iniziativa interessi, sic et simpliciter, che i loro dipendenti abbiano una qualità della vita appagante. Qualunque sia il male e dovunque esistano problemi di salute ci sembra che le azioni intraprese siano più indirizzate a far consumare farmaci che a rimuovere le cause che producono patologie. La metamorfosi dell’essere umano in paziente-consumatore è il trionfo delle multinazionali del farmaco in combine con la politica, un movimento indefinito e frenetico di soldi. In fin dei conti alleviare la sofferenza degli incel, che potrebbe diventare un problema deflagrante nei prossimi anni, per adesso, non è nell’agenda dei padroni del vapore.
20/4/2021 Antonio Bertinelli