In nome della legge
Schiere di pensatori hanno discettato per secoli sul bene etico, sul potere e sulla valenza delle leggi. Nel 1830 il presidente Andrew Jackson convinse il Congresso americano ad approvare il cosiddetto “Indian Removal Act”. Migliaia di indiani residenti ad est del Mississippi furono in tal modo costretti, sotto scorta militare, a migrare verso ovest. I Cherokee, che nel 1838 non avevano ancora ceduto al trasferimento, furono estromessi dalle loro terre con i fucili delle “giacche azzurre”. Gli Apaches, insieme alle tribù dei Sioux, dei Cheyenne e degli Arapaho, opposero una fiera resistenza all’esercito statunitense. I Chiricahua di Geronimo furono l’ultimo grande gruppo combattente di pellerossa. La loro lotta si concluse il 4 settembre 1886, quando il capo, rimasto con trentacinque guerrieri, decise di arrendersi. Geronimo dovette accettare e subire la carcerazione in Florida, con la promessa dei generali americani di poter fare presto ritorno in Arizona. Nel 1909 morì nella riserva dell’Oklahoma, praticamente prigioniero, senza poter più rivedere la sua terra. Tra il 1880 ed il 1890, come reazione al degrado delle condizioni di vita, tra le tribù occidentali nacque un’ondata di movimenti religiosi che invocavano l’aiuto divino. Gli agenti federali vietarono la danza degli spettri nelle riserve. Nel novembre del 1890 il commissario per gli affari indiani ordinò ai soldati di arrestare Toro Seduto, Grande Piede ed altri capi. Nei tafferugli che seguirono Toro Seduto venne ucciso. Duecento Sioux, guidati da Grande Piede, scapparono. I cinquecento cavalleggeri che partirono al loro inseguimento costrinsero i fuggitivi a rientrare nella riserva. Mentre venivano perquisiti in cerca di armi alcuni Sioux opposero resistenza. I soldati cominciarono a sparare e gli indiani cercarono di fuggire ancora una volta. Le “giacche azzurre” li inseguirono uccidendone centocinquanta, senza risparmiare donne e bambini. L’ultimo massacro della nazione indiana si consumò vicino al fiume Wounded Knee. Qualunque concezione etica prevede la nozione del bene e del male, idee correlate ora ad una visione religiosa, ora ad una visione laica. Come dimostrano l’eccidio dei nativi americani, quello recente del popolo libico, la primazia delle banche e delle multinazionali, la libera circolazione dei capitali, l’esistenza dei paradisi ficali, l’ingannevole maschera dell’Unione Europea, la trappola della moneta unica, il sistematico stupro dello Stato, lo smantellamento delle politiche sociali, le manovre finanziarie recessive, la devastazione dell’economia greca, il bombardamento finanziario dell’Italia, l’insediamento come primo ministro di uno dei maggiori vati del libero mercato, la bocciatura del referendum anti-porcellum da parte della Corte Costituzionale, non tutto quello che si definisce legittimo o conforme al diritto internazionale è in sintonia con l’insieme dei principi-guida del comportamento umano ritenuto prevalentemente equo e giusto. Max Weber individuò tre tipi di legittimità: quella tradizionale dell’Ancien Régime, quella carismatica basata sulla forza eroica di un leader e quella legale-razionale che poggia su ordinamenti statuiti. Le prime due sono state superate dalle vicende storiche, la terza mostra tutti i suoi vizi in quanto mera categoria giuridica, plasmabile dall’onnipotenza legislativa delle élites dominanti in perenne osmosi con marmaglie parlamentari, governi coatti e capi di Stato farlocchi. Il nostro apparato normativo è stato continuamente rivisto e corretto fino a renderlo socialmente esiziale e, nel migliore dei casi, inefficace sotto il profilo sanzionatorio del grande crimine. Se gli esecutivi del Cavaliere hanno oltrepassato ogni limite, quelli precedenti e quelli successivi non si sono mai preoccupati di correre ai ripari. L’attuale ammucchiata parlamentare capitanata da Alfano-Berlusconi, Bersani e Casini sostiene Mario Monti, non ha nulla da eccepire sui conflitti d’interesse di questo governo. Chi mai ha fatto notare o si è opposto pubblicamente alle fulgide carriere, fatte a danno degli interessi nazionali, di tutti gli uomini targati Goldman Sachs? Dopo l’orgia neoliberista degli anni 90 rieccoci a subire provvedimenti analoghi a quelli che hanno contribuito a spingere il Paese verso il declino economico. Non esistono riscontri, sia in Italia che nel resto del mondo, sui vantaggi delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni ottenuti da ceti popolari o medi. In realtà queste politiche, prese pari pari dal “Business & Economics Program” del Consiglio Atlantico, hanno soddisfatto, raramente e temporaneamente, l’esigenza di fare cassa per pagare qualche quota d’interessi sul debito pubblico. Nella generalità dei casi si sono rivelate vantaggiose solo per i detentori di grandi capitali. E’ difficile credere che il giovane laureato privo di idonei mezzi finanziari potrà aprire la sua farmacia con il viatico del premier o che l’aumento del loro numero porterà alla diminuzione del prezzo dei farmaci. E’ altrettanto improbabile ritenere che le banche e le assicurazioni possano entrare in concorrenza. E’ fantascientifico pensare che i servizi forniti dai comuni o i trasporti ferroviari garantiti dalle regioni possano migliorare in seguito alle privatizzazioni. E’ significativo che per l’assegnazione delle frequenze televisive attraverso il “beauty contest” si continui a prendere tempo. Nel “De Civitate Dei” Agostino d’Ippona già s’interrogava sulla legittimità del potere. Quando le leggi non rispondono al requisito dell’equità è lecito, in rapporto alle circostanze, desistere, resistere e combattere con ogni mezzo.
Antonio Bertinelli 20/1/2012