vecchi pensieri 128 (Bombe ed oclocrazia)

Bombe ed oclocrazia

Dalla disgregazione dell’Urss ad oggi i poveri occidentali sono diventati più poveri, le classi medie sono scese di qualche gradino ed i ricchi sono diventati ancora più ricchi. La rimodulazione dell’Impero anglo-americano e le mascherate umanitarie di diversi paesi europei, Italia inclusa, hanno visto il susseguirsi di così tanti avvenimenti bellici da far rimpiangere l’epoca della guerra fredda. Il capitalismo apolide ha evidenziato come il suo girovagare non possa prescindere dal peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei popoli, ha evidenziato come, là dove non esistono le condizioni politiche per impadronirsi di territori, risorse, banche e mercati, siano da prescrivere missioni simili a “Odyssey Dawn”. Gli interventi ammantati di democrazia o giustificati dalla lotta al terrorismo hanno portato tutti i paesi finiti sotto il tiro di Usa, Ue ed Israele in condizioni infinitamente peggiori rispetto a quelle di cui godevano nel periodo antecedente alle operazioni militari. In Serbia, dopo l’insediamento del governo collaborazionista voluto dai filantropi al seguito della Nato, venne immediatamente costituita un’agenzia per le privatizzazioni al fine di alienare a prezzi di saldo le più appetibili imprese statali. La democrazia e le libertà promesse dall’Occidente, arrivate poi sulle ali dei bombardieri, seminarono morte e portarono decine di migliaia di disoccupati. Agli Iracheni è andata anche peggio in quanto tutte le strutture economiche preesistenti sono state soppresse per crearne altre ad hoc come preteso dai “liberatori” e si sono perdute le tracce di oltre diciotto miliardi di dollari appartenenti al fondo sovrano nazionale. Il Paese continua a vivere il dramma della guerra; tutto è razionato, manca l’acqua e la costante erogazione dell’energia elettrica, soffre il freddo, il caldo e la fame. Vede un mosaico di tribù incapaci di coesistere pacificamente. E’ immerso nell’odio, nelle razzie, nelle violenze gratuite e nelle vendette. In Iraq è stata alimentata la più sanguinosa guerra civile di questo secolo, il numero dei morti causati dall’invasione fortemente voluta da Washington e Londra non è stato mai ufficializzato. Del resto i vertici della spedizione, potendo contare sul rivendicato “destino speciale donato da Dio ai nord-americani”, avevano dichiarato che non avrebbero fatto la conta degli uccisi e degli storpiati. Lo stesso aveva ripetuto Donald Rumsfeld: “Non faremo il conteggio dei morti altrui”. Secondo un accurato studio svolto dalla Scuola medica Bloomberg della Johns Hopkins University, una delle più prestigiose degli Stati Uniti, la guerra del Golfo, nel periodo che va da marzo 2003 a luglio 2006, ha provocato la morte di 601.027 civili iracheni. Altri studi condotti per estrapolazione, come quello dell’istituto inglese Orb, asseriscono che il numero delle vittime civili supera il milione. Secondo Peace Reporter, dal 2003 fino ad oggi, sono morti oltre dodicimila civili in attacchi kamikaze. In Libia, dopo il passaggio di Jihadisti, Sas inglesi, Navy Seals americani, legionari francesi, tutti i tagliagole disponibili sul mercato e migliaia di bombardamenti dei “paesi amici”, con un cumulo di rovine, sarà altrettanto difficile ottenere le stime dei caduti e valutare i danni nel deserto postbellico realizzato in nome della difesa dei diritti umani. Andrà tutto secondo copione. Stridono i nostri “bravi ragazzi”, in giro per il mondo, in deroga al dettato costituzionale, negli ultimi mesi anche sui cieli della Libia, in deroga al trattato d’amicizia votato dal Parlamento italiano, che sparano e lanciano bombe credendosi alfieri o sentinelle della democrazia, imbevuti di retorica patriottica contro il terrorismo (quale?) e contro le dittature. Potenziale carne da macello raggirata con richiami a nobili capisaldi, spesso arruolata perché priva di serie alternative occupazionali, vittima di quel modello di sviluppo che schiaccia e sfrutta il genere umano senza più porsi alcun limite. Ovunque si riscontri un processo di deteriore americanizzazione domina l’idea nefasta che alle crisi congiunturali si debba rispondere con i conflitti, la soppressione di identità nazionali, la privatizzazione delle strutture economiche e dei servizi pubblici, il drastico ridimensionamento dei salari e dei diritti del lavoro, la compressione del welfare e l’ulteriore emarginazione dei più deboli. Le crisi vedono dimagrire lo Stato Sociale e vedono ingigantire lo Stato al servizio del Capitale. Mentre i cantori del sistema plaudono alle missioni umanitarie per affrancare i popoli dai tiranni sgraditi all’Impero, nel contempo, dichiarano che la globalizzazione non può essere ostacolata dalle lotte di piazza, dagli scioperi, dagli Stati e dai governi. Quando un politico deve assumersi una responsabilità nei confronti dei cittadini c’è sempre un quid disincarnato che lo sovrasta, che decide e sceglie per lui e che dunque lo assolve da ogni colpa. Quasi mai le giustificazioni addotte sono attendibili, tanto che non tutti i paesi europei sono entrati nel club degli “amici” della Libia. Per quanto riguarda la politica economica nazionale non è del tutto vero che il dominio del sistema finanziario Usa ed i diktat dell’Ue precludano ogni possibilità di manovra. Nessun ente sovranazionale ha imposto all’Italia una torsione autoritaria della società, leggi ad personam, ad castam, ad aziendam, norme inique e criminogene, scelte finanziarie gravanti esclusivamente sui ceti meno abbienti o ha rivestito d’odio compulsivo i colpi di mano contro la Scuola Pubblica, l’Università, i dipendenti statali, i pensionati, i salariati, i disabili e contro chi ha sempre pagato regolarmente le tasse. Certo è l’alta finanza che, con le sue folte schiere di burattini, opportunamente collocati in ombra o alla luce del sole, muove il mondo. Sono le famiglie dei Rothschild, dei Rockefeller, dei Morgan, dei Warburg, dei Lehman Brothers, dei Goldman e di pochissimi altri che hanno soffocato l’american dream, che spadroneggiano in una miriade di esecutivi fuori e dentro l’America. Ma ciò non giustifica il calarsi della politica in qualsiasi forma d’espressione criminale, né la sua aderenza attiva a cosche di ogni tipo. La Fed o la Bce non hanno mai chiesto alla classe dirigente italiana i processi artatamente lunghi e le prescrizioni brevi, l’impenetrabilità dell’illecito finanziario, la comoda legislazione off-shore, la “repressione zero” contro il white collar crime e la razzia pro domo sua dei beni comuni. Per gli orrori della campagna di Libia, per le immani sofferenze inferte ai suoi abitanti, codardi, furbi e bucanieri si possono nascondere dietro il giornalismo omertoso e capillarmente regolato, che deforma o sottace i fatti ed amplifica le istanze umanitarie da cui si vuole che abbiano preso le mosse i “liberatori”. Manca invece una copertura mediatica tale da nascondere le fandonie perennemente raccontate dalla politica. Non è appellandosi alla presunta ineluttabilità globalista o al “Ce lo impone l’Ue” che i governanti, di ieri ed ancor di più quelli di oggi, possono declinare le proprie responsabilità nell’aver messo in ginocchio il Paese. Prima di suggerire implicitamente a Gheddafi di riscattare il suo passato lanciandosi, in groppa ad un cammello, a petto scoperto e con la scimitarra in pugno, contro i missili dei droni, sarebbe meglio guardare la montagna d’immondizia che abbiamo in casa.

Antonio Bertinelli 6/9/2011

Pubblicato da antoniobertinelli

Melius cavere quam pavere

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