Ed infine hanno cucinato l’Africa
Esistono diversi organismi di vigilanza e controllo nazionali particolarmente plastici. I meccanismi di nomina, il sistema dei finanziamenti e le molteplici incompatibilità dei vari commissari non riescono neanche a salvare le apparenze. Le sanzioni, quando comminate dalle authority, difficilmente arrivano a colpire grandi gruppi, sono del tutto irrisorie rispetto al volume d’affari o alla gravità dei comportamenti censurati e quindi non servono a scoraggiare abusi e truffe di ogni tipo. La loro utilità finisce nell’illusoria idea che esistano enti per la salvaguardia di interessi comuni contrapposti alla tracotanza operativa di partiti politici e lobbies. Pur con tutti i distinguo da fare sull’inarrestabile declino del Bel Paese, divorato e lasciato divorare da una classe dirigente inetta, anche alcune istituzioni internazionali sembrano non godere di buona salute in termini di garanzie e terzietà a tutela degli interessi collettivi. C’è ad esempio un insanabile conflitto d’interessi tra l‘Oms e l’Aiea. La prima non può agire liberamente nel settore nucleare in quanto necessita dell’imprescindibile consenso della seconda. Guardando all’Onu il quadro si fa ancora più fosco. Venuto alla luce democraticamente zoppo per il diritto di veto accordato a Cina, Francia, Gran Bretagna, Urss ed Usa nelle riunioni del Consiglio di Sicurezza, con il passare del tempo è diventato sempre di più subalterno agli interessi dei potenti. Quelle stesse Nazioni Unite, che appaiono deboli di fronte alle innumerevoli risoluzioni mai rispettate da Israele, diventano improvvisamente forti quando corre l’obbligo di “liberare” quei popoli che stanno a cuore dell’Impero. Nel Palazzo di Vetro di New York a nessuno appare grottesco che tra i quarantasette paesi facenti parte del Consiglio dei Diritti Umani alcuni, come il Qatar, il Bahrein, l’Arabia Saudita ed altri ancora, non brillino quali luoghi di libertà democratiche. Come si può far finta di ignorare che lo statuto dell’Onu è diventato una variabile dipendente dai desiderata anglo-americani, che l’intera assemblea serve da foglia di fico o svolge semplicemente un compito notarile per ratificare decisioni prese altrove, là dove spesso le intenzioni umanitarie si avvolgono intorno a bombe e missili in procinto di essere lanciati. E’ accaduto nella ex Jugoslavia, in Afghanistan, in Iraq e poi in Libia. Per dirla alla Louis Dalmas, en nous prenant pour des cons. La Nato, impegnata nei trionfi delle democrazie sulle tirannidi, è sempre più calata nel ruolo di agenzia militare delle Nazioni Unite, così la nota favola di Fedro “Lupus et agnus” è tornata d’attualità. Il “cane pazzo” di reaganiana memoria, con i suoi limiti e con i suoi chiaroscuri, non è peggio di tanti altri che ci ammanniscono le loro litanie sui diritti dei popoli; il suo passato, sotto alcuni aspetti, non è del tutto disprezzabile. La maggior parte degli Africani lo considera un uomo generoso che con il suo impegno e con i soldi libici ha contribuito a cancellare l’umiliazione dell’Apartheid in Sud-Africa. E’ altrettanto degno di nota che l’intero continente si è potuto affrancare dall’oneroso affitto annuo dei satelliti occidentali per le telecomunicazioni grazie a Gheddafi. L’odiato tiranno ha partecipato per ¾ dell’intero importo alla costruzione e al lancio di Rascom1, il primo satellite africano. Se la Libia è stata trasformata in una zona di guerra spaventosamente asimmetrica è perché l’Onu, nella sua essenzialità, non può opporsi alla legge del più forte. A questo va aggiunta la menzogna dei manichei a contratto come quelli che, attraverso la narrazione del “massacro di Srebrenica”, avvenuto nel 1995, hanno accreditato la particolare crudeltà dei Serbi ed il necessario smantellamento della Jugoslavia. Pochi sanno e, a giochi fatti, è del tutto ininfluente che i corpi degli ottomila mussulmani bosniaci uccisi a freddo non siano mai stati trovati. Dalle centinaia di cadaveri recuperati nelle fosse comuni come sarebbe stato possibile separare il numero dei morti negli scontri da quello dei giustiziati o, meglio ancora, stabilire se un corpo era di un serbo o di un bosniaco? La storia raccontata dagli invasori della Nato non fa menzione delle crudeltà commesse dai mussulmani e dai Croati, dei massacri subiti dai Serbi e delle loro legittime risposte alle aggressioni. Per quanto accaduto ed accadrà in Libia stiamo assistendo alla consueta promozione ingannevole. Non ci sono nefandezze e non ci sono stragi che non siano imputabili esclusivamente ai “mercenari” di Gheddafi. Va da se che i liberatori al seguito dei servizi d’intelligence e delle truppe occidentali impegnate in loco siano fior di galantuomini amorosamente cresciuti nei giardini delle democrazie, che le bombe Nato siano talmente intelligenti e garbate da chiedere il permesso prima di colpire chiunque vi si trovi sotto. La comoda plasticità di un organismo di garanzia nazionale può scaricare tutto il suo zelo contro le foto “rubate” di un Zappadu o, al massimo, può recitare il de profundis per il servizio pubblico televisivo. L’eccessiva plasticità dell’Onu favorisce in giro per il mondo la nascita di mattatoi e quello libico non sarà l’ultimo. Per tutti i paesi dell’Africa, che con la cacciata violenta di Gheddafi e l’occupazione della Libia perdono i loro migliori riferimenti sociali, politici ed economici, sarebbe più dignitoso abbandonare l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Catturato il Nord-Africa nella sfera d’influenza euro-statunitense non sarà mai messo all’ordine del giorno un seggio nevralgico per l’intera Federazione Africana.
Antonio Bertinelli 31/8/2011