Ad ognuno il suo
Lo show a cui pochi pifferi si sottraggono marcia di pari passo con il tormento di un Paese condannato da almeno un ventennio alla devastazione politica, economica e sociale. Il “perseguitato”, dopo aver acquistato in blocco l’armamentario democratico necessario alle bisogna, è diventato incontenibile e minaccia apertamente la Magistratura. L’assoluta mancanza di misura negli appetiti del neoduce è riscontrabile nelle azioni coordinate e ripetute instancabilmente da anni, specialmente in campo legislativo. Le responsabilità di aver ridotto l’Italia in una porcilaia sono diversamente distribuite, ma le maggiori colpe sono addebitabili ai figuranti della competizione politica che, per ragioni inconfessabili, gli hanno preparato bigliardo, stecca e palle al fine di consentirgli un’innumerevole serie di carambole. Meglio non illudersi aspettando l’arbitro che segnali le irregolarità, metta fine alla partita e faccia sostituire il tappeto verde strappato in più punti dalla furia dei colpi dell’irruente giocatore. Bisognerebbe accettare il proprio passato rimosso, vincere i tentennamenti indotti dalle circostanze inusuali e poi trovare il coraggio per sbarrare la strada alla soldataglia che ha invaso le istituzioni non certo per consapevole scelta del Popolo, chiamato in causa per giustificare un mandato politico, ancorché viziato dalla legge elettorale, palesemente esercitato in maniera illecita. Se ai giornalisti che maldestramente si professano “indipendenti” si possono perdonare delle censure, dei silenzi, delle cronache parziali, il furore circoscritto e a fasi alterne, il garante super partes, proprio perché retribuito con denaro pubblico, non può godere delle stesse attenuanti. Lo sdegno di chi evidenzia la violazione di qualche articolo del dettato costituzionale, dimenticandone altri, può andare bene per qualsiasi bocca e per qualsiasi penna, ma non certo per il Presidente della Repubblica. Di fronte ad una sorta di golpe bianco, che ha preso forma con l’ormai datato beneplacito delle “opposizioni”, non basta auspicare la concordia tra poteri dello Stato. Le ripetute dimenticanze dell’art. 11 della Costituzione non possono far liquidare con un’alzata di spalle quello che è accaduto per la questione libica. Le letterine di rampogna al governo, dopo aver firmato indifendibili decreti omnibus, mal si conciliano con la sollecitudine dimostrata nel voler ribadire l’appartenenza e la fedeltà dell’Italia all’Unione Europea. Non vogliamo assimilarci alle grette argomentazioni di qualche esponente leghista, ma ci sembra opportuna qualche precisazione. Di affabulatori trasversalmente collocati ne abbiamo fin troppi. L’ultima narrazione tremontiana sulla piena occupazione di quattro milioni d’immigrati, che lavorano giorno e notte senza lamentarsi come fanno i “fannulloni” italiani, ha bellamente ignorato il funesto bollettino della Banca d’Italia: crescita ininfluente, precariato dilatato, disoccupazione elevata, prezzi in salita, consumi in calo, potere d’acquisto di stipendi e salari in progressiva discesa, varo di manovre finanziarie recessive. Non vorremmo ripetere le cure già sperimentate ed abitualmente prescritte dagli uomini d’oro della Goldman Sachs, ma se si chiudono gli occhi sulle gravissime forzature di questo governo non si possono aprire solo in ossequio ai diktat degli Usa, a quelli dell’Ue, più generalmente a quelli della globalizzazione, con il finto liberismo delle libere volpi nel libero mercato. Se non si riesce a porre un argine all’egocrate rissaiolo, alle grandi rapine e al sacco della res publica, evitiamo almeno d’incensare l’Ue, peraltro incurante e pronta ad avvantaggiarsi della deriva istituzionale italiana. Non ci si può scandalizzare per i piduisti ancora in auge e per il gruppo dei “responsabili” al servizio del cavaliere nero senza fare nulla di concreto, poi dimenticare quanti hanno messo in saldo il Paese, e continuano a farlo, in cambio di poltrone e prebende a cui non avrebbero mai potuto aspirare per requisiti diversi da quello di avere semplicemente un prezzo. La crisi economica creata dalle grandi banche e dall’alta finanza continua a montare senza trovare ostacoli, gli aiuti imposti a Grecia, Irlanda e Portogallo non risolvono le loro situazioni debitorie ma le stanno aggravando, gli eurocrati, che si sono lasciati trascinare nei bombardamenti umanitari sulla Libia, sono alla mercè della speculazione internazionale, non possono, non vogliono o non sono in grado di sottrarre i loro paesi dal gioco a perdere in cui li hanno cacciati. Dove non si sono potuti lanciare missili tomahawk sono stati lanciati ordigni speculativi finanziari. E’ vero che l’onnipotenza di Berlusconi, scaltramente servita in salsa democratica parlamentare, non trova più argini idonei a contrastarla, ma per favore non si prenda spunto dalle parole di un ministro della Repubblica, contemporaneamente secessionista in pectore della fantomatica Padania, per compensare le frustrazioni ed inneggiare alla Fenice che non c’è. Non sarà la difesa d’ufficio di un vecchio e convinto europeista a far rinascere l’Unione dalle proprie ceneri. Ad insaputa di Tremonti, nel silenzio dei maggiori media, da poco l’Ue si è impossessata dell’Europa mettendo definitivamente gli artigli sui bilanci nazionali e sulle decisioni economiche, sia dei paesi che utilizzano l’euro, sia di quelli che usano ancora le loro monete.
Antonio Bertinelli 17/4/2011