Pensieri reflui
Il gotha della finanza e delle multinazionali opera alacremente per il ridimensionamento dell’istruzione pubblica. Il caso italiano non è imputabile sic et simpliciter all’inadeguatezza di questo o di quell’altro ministro. L’idea viene da lontano ed è parte integrante di quel processo di omologazione riservato al villaggio globale. Da decenni negli Usa si ritiene che l’unica cultura degna d’interesse sia quella che può essere tradotta direttamente e velocemente in denaro, il resto non conta. La deculturazione spinta del cittadino nord-americano ha marciato di pari passo con la terzomondizzazione del suo Paese. Sono cresciuti i disagi sociali, il dollaro ha perduto di valore, il debito pubblico ha superato i quattordici miliardi, le infrastrutture sono in progressivo deterioramento, i mass media sono più controllati, i diritti civili vengono gradualmente ridotti, la corruzione politica si espande, una parte consistente della middle class si sta trasformando in un aggregato sempre più svilito ed un’altra parte sta scivolando verso la linea d’ombra della povertà relativa. Rimane in piedi un colossale apparato militare che può meglio parlare alla pancia della nazione, quella costituita da chi magari acquista adesivi con la scritta: “Kick their ass and take their gas”, senza neanche sapere che tra i veterani a stelle e strisce del 2009 ci sono più di centomila homeless. E’ probabile che il grande impiego di contractors faccia avvertire di meno il peso dell’impegno bellico mantenuto su più fronti, quindi anche la crociata allestita contro la Libia non sembra incontrare troppo dissenso. Ma se andiamo oltre il contingente non ci sembra che il cittadino medio abbia maggiori consapevolezze sul suo destino. I globalisti stanno usando l’Asia per portare a termine la deindustrializzazione di un’America in decadenza. Dal 2001 sono state chiuse definitivamente quarantaduemila fabbriche. La Cina è il più grande detentore del debito pubblico statunitense. La società cinese Hutchison Whampoa ha acquistato a prezzi di favore porti ed altre importanti infrastrutture, ha ottenuto grandi appalti con trattative dirette e secretate. Prima di attecchire nel resto del globo, le dottrine neoliberiste hanno mietuto vittime in patria. Lo Stato “più democratico e ricco del mondo”, con trecentonove milioni di abitanti, ha raggiunto la ragguardevole cifra di quarantacinque milioni di poveri. Il rinnovato impegno militare per esportare questo genere di democrazia vede l’Italia seguire a ruota e partecipare all’aggressione di uno stato sovrano. Molti italiani, prima deteriormente americanizzati e poi plasmati secondo gli interessi di un autocrate inamovibile, stanno perdendo ogni capacità critica. Agiti da un potente apparato mediatico vengono spinti a trasformarsi in cavie di un nuovo ordine globale, che non necessariamente avrà come definitivo centro di potere gli Stati Uniti. Il turbocapitalismo è apolide, non risponde a nessun governo nazionale e tanto meno alla Casa Bianca, oggi utile, e fino a quando si potranno spremere le classi subalterne americane, per garantire all’Impero una poderosa macchina da guerra. La bancarotta dell’Occidente potrebbe far assumere il ruolo di gendarme del sistema alla Cina, dove il consolidato dirigismo statale potrebbe favorire meglio che altrove, e senza la retorica tipica delle stegocrazie, il sostegno ad un governo mondiale. Gli artifici per abbellire la realtà sono tipici di tutti i governi, ma mai in misura così massiccia come fanno le mosche cocchiere della globalizzazione, che, in concreto, se fa aumentare il Pil ed il reddito pro-capite di qualche nazione, fa stagnare o riduce quelli di altre. In terra caecorum orbus rex, ma non si può nascondere a lungo che l’economia globalizzata estremizza le differenze di reddito in tutti i paesi in quanto sposta ricchezza, e sempre, dal monte salari al monte profitti. I fatti nella loro essenzialità stanno ai proclami della politica come gli aghi stanno ai palloncini. La guerra alla Libia, come quelle dei Balcani, dell’Iraq e dell’Afghanistan è nata nella provetta dei veleni destinati all’opinione pubblica per farla salire, insieme a Pinocchio, sul carro diretto nel fantomatico Paese dei Balocchi. Le libertà assicurate da Berlusconi hanno visto nascere l’isola dei cassintegrati e tante altre isole infelici, in Usa c’è ormai un esercito di working poors. Le libertà più gettonate nel mondo occidentale sono quelle di arricchirsi, di sfruttare, di depauperare, di uccidere, di devastare culture e nazioni o quelle di dichiarare guerra a chi non si allinea ai dettami dell’Impero. La compresenza di uomini di Al-Qaeda e dell’intellicence anglo-americana tra i ribelli della Cirenaica non è affatto una contraddizione o un imprevisto. Guai a perdere la Libia, dove la globalizzazione cara alle multinazionali dell’acqua, ai banchieri ed ai petrolieri, con Gheddafi al timone, stenterebbe ad arrivare. I maggiori consorzi transcontinentali, fabbricanti di armi e di alte tecnologie, imprese minerarie, farmaceutiche, finanziarie, alimentari, energetiche, pilastri e garanti delle “libertà democratiche”, non indugiano nello spianare le foreste del Sud-America, sostengono dittature, monarchie assolute e governi tanto a Washington come a Londra, a Parigi, a Roma, etc., fino a quando tutelano e difendono i loro interessi. In Italia ciò che è democratico e ciò che non lo è lo decide Berlusconi. Per la Libia lo ha deciso Obama. Le guerre antiche puntavano per lo più a ristabilire lo status quo antecedente, le guerre contemporanee mirano allo shock strutturale come quello riservato oggi al Popolo libico. Il migliore business si realizza nella fase postbellica. Il nostro premier lo sa ed è per questo che la guerra condotta contro la Magistratura, sostenuta più o meno palesemente dai numerosi mercenari che affollano le assemblee legislative, non conosce quartiere.
Antonio Bertinelli 3/4/2011