SS e Tribunali -se Taranto piange, Chivasso e Milano non ridono-
SS, l’acronimo che spesso ricorre negli atti redatti dai giudici di famiglia è lo stesso che veniva usato per la guardia personale di Adolf Hitler. L’unità divenne progressivamente una forza efficacemente letale. Il suo nome e la sua reputazione, erano sufficienti ad infondere paura nel cuore di chiunque. Le Schutzstaffel (SS) avevano giurisdizione su tutti i campi di concentramento. Attualmente, la sigla SS, che si può trovare sul decreto di un Tribunale dei Minori, evita al magistrato di scrivere per esteso Servizi Sociali. Quel pezzo di Stato che può anche indagare rovinosamente all’interno delle famiglie italiane. Nessuno nega che, dopo la cura seguita in base alle indicazioni di sconsiderati maîtres à penser, la famiglia navighi in acque perigliose, ma è possibile che sia diventata un covo di pedofili, il luogo della trascuratezza per eccellenza, una summa di incapacità diffuse da sottoporre ai controlli dei SS? O forse è più probabile che l’elargizione di fondi a pioggia ha favorito la crescita di una rete di centri e di associazioni che si alimenta col circuito delle denunce fatte dalle assistenti sociali? I monitoraggi o gli internamenti dei minori in Comunità sono all’ordine del giorno. E’ sufficiente una segnalazione anonima, un procedimento di separazione o di divorzio per mettere in moto un meccanismo implacabile. Si comunica al tribunale competente l’esistenza di qualche problema genitoriale o il sospetto di qualche abuso e il gioco è fatto. I figli finiscono ricoverati in Istituto e/o nel gorgo delle perizie psicologiche che vanno avanti all’infinito. I bambini vengono torchiati e manipolati perché ripetano ciò che gli “esperti”, voluti per distribuire poltrone, per erogare fondi pubblici e sussidi di varia natura, vogliono sentirsi dire. Quando la Giustizia e i Servizi Sociali attraversano la strada di una famiglia non si possono porre limiti all’immaginazione. Dietro i pochi casi di incapacità genitoriale o di abusi ci sono infinite denunce strumentali, che servono a gonfiare un problema, a promuovere seminari e convegni, e consentono di fare business. Nessuno si prende la briga di controllare. Di tanto in tanto qualche persona, falsamente accusata di abusi, si suicida. Da quanto ci è consentito di conoscere, sono innumerevoli le vicende comuni trasformate in casi degni di provvedimenti restrittivi. Non pochi giudici, con l’ausilio di sedicenti esperti e di assistenti sociali che spiano dal buco della serratura, avallano l’esistenza di una realtà familiare da incubo. Da principi teoricamente giusti sono nate delle mostruosità. Attraverso questa china di tutela coatta (spacciata per protezione del minori) stiamo scivolando verso l’orrore dei figli di Stato. Tempo fa, a Firenze, i SS hanno sottratto un bambino al padre non vedente. A Perugia, S. Sangallo si è vista togliere i nipoti. A Torino, una coppia a cui non è stata concessa una casa popolare, si è vista sottrarre tre dei suoi cinque figli. Per questa vicenda il Comune ha comunque già speso 250 mila euro in alberghi, residences e case-famiglia. Paradossale e drammatica è anche l’odissea giudiziaria, dei coniugi Romani di Perugia. Mentre, grazie alla pressione mediatica, sono stati tolti dalle grinfie dei Servizi Sociali i fratellini di Basilio, i coniugi Massaro di Chivasso hanno subito il sequestro e l’internamento della nipotina di otto anni. Mentre le Interrogazioni Parlamentari su fatti simili si susseguono con cadenza regolare, le famiglie in difficoltà nell’esercizio delle cure parentali, ma anche quelle che non ne hanno, sono giornalmente stritolate dall’ingranaggio creato dal connubio tra TdM e SS. I provvedimenti coattivi su minori vengono attuati con impressionante frequenza, e alla stessa stregua di esecuzioni immobiliari. Questo servizio di tutela può essere riservato improvvisamente a qualunque famiglia e non solo a quelle che sono oggettivamente in situazioni di disagio. Basta anche la segnalazione di una maestra per trovarsi nei guai. Segnatamente il sesso maschile, quando si ritrova in tribunale, è quasi sempre costretto a subire l’invasività dei servizi citati. Le madri che si rivolgono ai Servizi Sociali in cerca di sostegno, o vi entrano in contatto per ragioni giudiziarie, ricevono più facilmente accoglienza se si presentano come vittime dell’uomo. E’ generalmente più facile che esse ricevano aiuto se assumono un atteggiamento critico verso il padre. Quando la madre non è in condizioni di farlo o rifiuta di soggiacere a questo modus operandi rischia di essere a sua volta colpevolizzata. Anche il miglior padre è spesso considerato pregiudizialmente inidoneo. Quando i Servizi Sociali osteggiavano il rientro a casa della figlia, Fabio così scriveva al sindaco di Roma: “ Devo fare il padre di mia figlia. Perché i Servizi Sociali non vogliono adempiere alla sentenza che il Tribunale ha emesso? Questo è ingiusto e discutibile, stanno disattendendo una sentenza (…)”. Si domanda invece disperatamente Pietro, che da quattro anni, è tenuto lontano dai figli, due bambini di 10 e 11 anni, ristretti in una Comunità protetta: “Com’è possibile che un giudice decida di collocare altrove i miei figli?”. Lui non ha alcuna colpa, in tribunale c’è finita l’ex moglie, accusata di maltrattamenti sui due minori. Pietro, nell’aula del tribunale, è parte lesa. “E allora perché non li posso riavere con me? I miei bambini vogliono tornare da me, lo dicono e lo scrivono chiaramente, ma non c’è stato niente da fare”. I Servizi Sociali, insieme a non pochi magistrati avversano la figura paterna e non fanno nulla per nasconderlo. Mentre a Taranto Sergio lotta per essere formalmente riabilitato come padre, leggiamo anche di Paolo, “un consulente informatico di 44 anni, con la faccia pulita, la classica brava persona. Paolo non ha mai avuto problemi con la Giustizia, ma adesso è costretto a subire un meccanismo assurdo che la stessa Giustizia ha costruito. La sua bambina di 10 anni, il 13 giugno andrà in una Comunità. Lo ha deciso, a dicembre 2007, il Tribunale dei Minori di Milano su richiesta dei servizi sociali del Comune di Cologno Monzese, città dove abitano la sua ex moglie e la figlia stessa. Lo ha deciso perché la piccola non può stare più con la madre, e pur di non lasciarla con il padre e i nonni paterni, nonostante abbiano tutte le carte in regola per tenerla con loro, il giudice ha preferito la Comunità. Una Comunità, diretta da un consulente tecnico e da un Giudice Onorario del Tribunale dei Minori, scelta dai Servizi Sociali e non rispondente a quella indicata dal Tribunale”. Nei prossimi giorni, per Paolo, verrà organizzata una manifestazione di protesta davanti al celeberrimo Tribunale dei Minori di Milano.
L’acronimo SS (Servizi Sociali) dovrebbe far pensare ad una struttura posta al servizio del cittadino in difficoltà, dovrebbe tranquillizzare coloro che sono costretti a farne uso, invece, per associazione di idee, ci richiama alla memoria le Schutzstaffel. Le SS soprassedevano allo sterminio degli ebrei; certe assistenti sociali, affiancate dalla Corte dei Miracoli psico-giudiziaria, soprassiedono allo sfascio della famiglia e alla rimozione sociale della figura paterna.
1/6/2008 Antonio Bertinelli