vecchi pensieri 15 (Impunitas semper ad deteriora invitat)

Impunitas semper ad deteriora invitat

“(…) Purtroppo anche nella vita dei partiti molto spesso è difficile individuare, prevenire, tagliare aree infette sia per l’impossibilità oggettiva di un controllo adeguato, sia talvolta, per l’esistenza ed il prevalere di logiche perverse. (…) Non credo che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa alzarsi (n.d.a. non si alzò nessuno) e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo. (…)”. Così, alla Camera dei Deputati, si espresse B. Craxi il 29/4/1993. Tangentopoli era appena esplosa. Alzato il sipario, fu permesso di fotografare quel groviglio di poteri, quell’impasto di arroganza e impunità di faccendieri, avvocati, magistrati, imprenditori e finanzieri, tutti insieme appassionatamente, quasi tutti futuri clienti di procure e tribunali. Ma la questione morale italiana, in tutta la sua atipicità, gravità ed urgenza, che fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti e di altre organizzazioni malavitose, era fenomeno datato. C. A. Dalla Chiesa, G. Falcone e P. Borsellino erano già stati ammazzati. Lo Stato che dimostra il volto arcigno con i suoi servitori, che smembra le aziende e i servizi pubblici, che manda in malora il suo patrimonio, che consente all’Inpdap di “frodare” sulle liquidazioni e sui trattamenti pensionistici, in attesa che muoiano gli aventi titolo, è lo Stato-Cosa Nostra per i politici, i loro amici e gli amici degli amici. Si pensi al saccheggio di Telecom Italia e alla “trasformazione” di Poste Italiane, si guardi alla vicenda dei rifiuti in Campania, si rifletta sullo scandalo della sanità in Abruzzo, e si pensi ora alla prossima dismissione di Alitalia. Chi sono i “capitani coraggiosi” pronti a correre in soccorso della compagnia di bandiera? Sono i soliti noti che concluderanno lo scempio attraverso una sorta di bancarotta preferenziale che assegnerà ai privati l’asset dell’azienda, riversando sui contribuenti gli oneri relativi alla bad company, cioè tutto quello che è in perdita. Non sarebbe una sorpresa se qualcuno di questi ardimentosi fosse chiamato, in un prossimo futuro, a sacrificarsi ulteriormente, rilevando magari la Tirrenia navigazione. L’art. 3, 1° comma, del D.L. 134/2008 prevede inoltre un “condono” per tutti quelli che hanno causato il disastro attuale dell’Alitalia. Non pagheranno pena, insomma nulla di nuovo sotto il sole. Gli affari sono affari, e le casacche che si indossano per schierarsi sotto l’una o l’altra bandiera sono solo specchietti per le allodole. Infatti anche P. Marrazzo, “sinistro” Governatore del Lazio, vorrebbe entrare nella Nuova Alitalia. Ma i leghisti, dieci anno orsono, non si chiedevano forse da quali tasche erano usciti, nel 1968, i tre miliardi per edificare Milano 2? Ma R. Colaninno, non è forse stato sempre in buoni rapporti con M. D’Alema? Droga, sesso a pagamento, corruzione, gioco d’azzardo e condanne passate in giudicato non sono forse faccende che hanno riguardato e riguardano un discreto numero di rappresentanti politici refrattari a qualunque comportamento etico? Non c’è forse stato feeling tra W. Veltroni e M. Fini per rendere perenne il bipolarismo, contro ogni rischio vecchio e nuovo di deriva neocentristra? E tra i due, che incarnano perfettamente l’era della morte dell’ideologismo e della negazione di valori “non trattabili”, c’è ancora feeling. Boni pastoris esse tondere pecus, non deglubere. Da dove vengono il cattivo esempio e il contagio? Oggi non esiste più indecenza che riesca a scandalizzare. Si è diffusa la convinzione che tutto sia lecito. Basta non farsi scoprire e va tutto bene: le azioni fraudolente, l’evasione fiscale, il ricorso alle relazioni amicali per aggiudicarsi un’asta, ottenere un’autorizzazione amministrativa, ecc. In ogni campo e in ogni circostanza il cinismo del tornaconto personale ha avvolto e logorato il senso civico. Il guasto purtroppo è profondo e diffuso, anche perché arriva fin dentro i nostri comportamenti più semplici. “Bisogna scegliere tra vivere la vita e raccontarla”. Era il monito di J.P. Sartre, consapevole del carattere precario dell’esistenza ma anche del valore specifico di ciascuna vita umana. La precarietà è il segno distintivo di chi è giovane oggi, i cattivi maestri fanno il resto. Ormai il nuovo secolo ha svelato il grande inganno: la corruzione dilaga, la mobilità sociale è proibita dalle caste professionali e dal loro potere di perpetuazione; nella maggior parte dei casi, solo le rendite, i salari dei padri e le pensioni dei nonni consentono ai giovani di poter campare, sia pure a fatica. Gli adulti non forniscono modelli di sogno in qualche modo realizzabili. Sono sogni usa e getta, legati alla sorte, al culto dell’esteriorità, all’effimero, al colpo grosso, piuttosto che al coraggio e al merito. E’ assordante il frastuono dei mondi dorati e irraggiungibili che gettano sempre più nello sconforto chi si sente fallito, perdente, sfortunato. E’ un’epoca di degradazione esistenziale, di pensieri scarsamente elaborati, dove tutto è ridotto al successo o al fallimento individuale. Nelle famiglie, fin troppo spesso sconquassate e ridisegnate a misura di individuo, il padre, quello che un tempo educava al senso del limite, è ormai una figura educativamente ininfluente. Il contesto vede bruciare giovani vite che non identificandosi più nel lavoro, quasi sempre precario e mal retribuito, fuggono in massa verso identità sostitutive e verso lo “sballo”; non raramente si trova chi è pronto a trasformare la propria fredda rabbia in crudele vendetta. Abbiamo letto recentemente le gesta dei tifosi napoletani diretti a Roma: quattro dipendenti delle FS contusi, 500 mila euro di danni alle carrozze. Da molti anni leggiamo di giovani che escono dai binari della “normalità” e diventano gli eroi negativi del branco. È la collera di una generazione che per la prima volta dal secondo dopoguerra non conosce l’ascesa sociale ma conosce un regresso. E’ l’ira di chi deve accontentarsi di molto meno di quanto non meriti, di chi vede spezzarsi uno dopo l’altro i fili che dovrebbero tener stretta la società, i fili che legano una generazione alla successiva. Ogni qual volta un episodio finisce in cronaca si assiste al teatrino rituale della politica ma, passata l’emozione del momento, tutto resta come prima. In questo Paese, dove tutto si aggiusta a “tarallucci e vino”, seguendo il principio del “vivi e lascia vivere”, la questione etica e’ stata sempre accantonata con un senso di fastidio e, se qualcuno ogni tanto la nomina, viene tacciato di falso moralismo. La rifondazione di un Stato, da cui il fratello di P. Borsellino ha rifiutato il risarcimento dovuto per il suo assassinio, può aspettare. Adesso c’è da salvare l’Alitalia e poi c’è da riformare la Giustizia. Siamo certi che la finalità della riforma sia quella di costruire, anche attraverso le risorse umane, un apparato giudiziario efficiente e non quello di riformulare l’equilibrio tra il potere politico e quello della magistratura? Sulle responsabilità dei rispettivi poteri abbiamo già scritto. Nell’attesa dei prossimi provvedimenti governativi continuiamo ad essere sconcertati per l’enorme quantità di gente che disperatamente si attacca al primo filo d’erba trovato a portata di mano e guarda ad un comico come fosse l’uomo della Provvidenza. Siamo sulla strada del non ritorno se, de nobis fabula narratur, si fa business rendendo noti alcuni scandali e manifestando solo un’indignazione parolaia.

5/9/2008 Antonio Bertinelli

Pubblicato da antoniobertinelli

Melius cavere quam pavere

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