Requiem per la Democrazia
La crisi finanziaria americana sembra non conoscere fine. E’ recentemente fallita la Indy Mac Bank mentre Freddie Mac e Fannie Mae sono sulla strada dell’insolvenza. L’ anno scorso, due milioni di americani, che non riuscivano più a pagare le rate del mutuo, hanno subito il pignoramento della casa. Nell’ultimo trimestre, le abitazioni tornate alle banche sono state settecentoquarantamila. Larghe fette di popolazione hanno problemi di salute mentale. L’escalation di gangs giovanili, più violente e molto più inserite nelle attività criminali rispetto a quelle del passato, non conosce battuta d’arresto: se ne contano circa ventitremila. In Texas, il direttore di una scuola ha deciso che. alla ripresa delle lezioni, gli insegnanti potranno presentarsi in classe armati di pistola. Il provvedimento è stato adottato per garantire la sicurezza dei professori e degli alunni. Gli USA, con le loro gravi responsabilità per la diffusione del terrorismo internazionale, indiscusse cuspidi del capitalismo predatorio, e stella polare delle democrazie liberali, non sembrano godere di buona salute. Anche l’Europa del mercatismo mostra la corda e si rivela come un grande casinò, dove il gioco è pesantemente truccato. Mentre i croupiers si affannano ad assicurare il contrario, le perdite per i clienti si fanno di giorno in giorno più ingenti. Le diverse identità culturali, con annesse economie, soccombono sotto le direttive comunitarie e sotto i flussi migratori incontrollati. Le famiglie spagnole finiscono “normalizzate” sotto i colpi della gender theory, i Francesi devono vedersela con la devianza minorile, agguerrita in maniera particolare nelle banlieues, e gli Inglesi vedono nascere il fenomeno dei giovanissimi che si armano di coltelli per girare nelle strade. Dall’inizio dell’anno, Londra conta già sedici teenagers morti per ferite da serramanico. Sono solo alcuni dei frutti avvelenati delle democrazie liberali, i cui destini sono nelle mani di ristrette élites economico-finanziarie che aspirano al dominio planetario. Il potere, se slegato da esigenze funzionali temporanee e ben precisate, nell’ambito di un gruppo di persone associate volontariamente per unanime interesse e tutela, si manifesta come una contraddizione radicale, ma ciò non toglie che questo, per l’una o l’altra ragione, venga regolarmente esercitato a danno della comunità. Nell’era postmoderna, fanno da tramite lo Stato ed altri organismi sovranazionali, senza la cui esistenza l’individuo non potrebbe compiere immense appropriazioni, perché troverebbe subito qualcuno pronto a contrastarlo. Il concetto di interesse collettivo, titolo associativo di qualunque gruppo, che di per sé dovrebbe escludere il fenomeno del potere, si scontra però, oggi più di ieri, con una società che, sviluppandosi in maniera distorta, ha consentito la conquista selvaggia delle risorse da parte di pochi. Il potere, così come è agito nelle democrazie liberali, sembra quindi scaturire da una formula algebrico-deterministica, sembra un male inevitabile. Circoscrivendo le nostre osservazioni all’Italia, oltre al déja vu, prima e altrove, che arriva immancabilmente a colpire il nostro corpo sociale con qualche anno di ritardo, emerge che il fenomeno del potere ha una sua caratteristica tipica: qualunque sua rivendicazione si manifesta in nome dei cittadini, ma il vero obiettivo non è mai in sintonia con quello che dovrebbe essere l’interesse di tutti. Se si parla di Stato, la storia recente ci parla solo di occupazioni, di volute inefficienze, di appropriazioni indebite, di serbatoi elettorali e di svendita di beni pubblici. Se si parla di media e di editoria, i vari contendenti non desiderano altro che plagiare ascoltatori e lettori; c’è chi lo fa in nome dei principi democratici e chi in nome della libertà, ma la manipolazione regna sovrana ovunque e comunque. Se si parla di giurisdizione lo si fa per guadagnare o mantenere privilegi di casta. La palude istituzionale in cui sono immersi gli italiani è particolarmente infida. Mentre essi si muovono tra insaziabili piranha e tra coccodrilli capaci di ingoiarli con un solo boccone, mentre i tribunali sono infettati da agenti patogeni di ogni tipo, ci risulta singolare la diatriba che si è innescata sulla Giustizia. Una parte prospetta la rimodulazione del CSM e delle carriere dei giudici, l’altra difende lo status quo. Inutile dire che nessuna delle parti ha mai lontanamente affrontato il problema adottando la visuale del cittadino. Mentre la Magistratura, come è già accaduto ai partiti “progressisti”, sembra non capire quanto si sia fatta distante dal modo di sentire della gente (la non dovuta considerazione per i padri separati, con annesse bastonature a senso unico, è solo un esempio, ma si potrebbe continuare a lungo), le Ferrovie, forti di un consenso giustizialista, licenziano un macchinista troppo ciarliero. Non conosciamo in dettaglio la vicenda, ma conosciamo perfettamente la parabola percorsa dalle FFSS che, un tempo, prima di venire “curate” non avevano certo necessità di difendere formalmente la loro immagine. Erano tra le migliori aziende di servizi del Paese. Di fatto, e specialmente in ambito politico e/o giudiziario, chi ha potere diventa fonte di regole ed assume perciò la propensione a sentirsene fuori e al di sopra. L’abuso è insito nella stessa percezione del potere, se non si abusa dello stesso allora che potere è? Quelle che sembrano annoverarsi come anomalie tipicamente italiane, ci spingono con il pensiero verso uno dei personaggi creati da Eduardo De Filippo: Zì Nicola. Il vecchio zio dei fratelli Saporito vive nella loro stessa casa. Nella consapevolezza del crollo generale dei valori, ha smesso di parlare e si esprime per mezzo di fuochi d’artificio, mortaretti e tric-trac, accompagnandoli con frequenti sputi dall’alto del suo ammezzato. Chi può avere la certezza che la rassegnata afasia di molti, specialmente se giovani, la piaggeria di alcuni e la sensazione d’impotenza di altri, non possano essere foriere di una triste stagione con ben altro genere di fuochi? Per adesso, buona parte delle generazioni nate dopo il ’68 sono immerse nella cultura dello “sballo” e non sembrano costituire un pericolo immediato per il potere. Secondo Alfred Adler lo sforzo antisociale per la sua conquista deriva da una vera e propria nevrosi. Lo psicanalista austriaco ritiene che la vanità e l’ambizione siano i peccati capitali dell’essere umano. Afferma inoltre che l’ambizione nevrotica deriva dalla debolezza e dall’insicurezza, trae soddisfazione dalla svalutazione degli altri e dal dominio su di essi. Le considerazioni di Adler possono essere una chiave di lettura per spiegare i dispotismi; ad abundantiam, poi, la storia del Novecento mostra come gran parte degli uomini rifiuti il “peso” della libertà per affidarsi ad un capo e rifugiarsi nel conformismo. Il tributo da pagare a certe pulsioni è comunque sempre alto. Il Cav. Benito Mussolini iniziò la sua ascesa il 28/10/1922. La sua personalità carismatica, come testimoniano i discorsi tenuti di fronte a folle oceaniche, fu il principale collante del Regime. Il consenso delle masse venne poi alimentato grazie al controllo di tutti i media disponibili all’epoca. Il Cav. riuscì spesso ad interpretare correttamente la volontà della maggioranza degli italiani, attuando importanti interventi di tipo sociale, sanitario, previdenziale, economico e culturale. Se non avesse scelto di allearsi con Hitler, quasi sicuramente, sarebbe morto lodato nel suo letto. La guerra, inclusa quella fratricida successiva all’8/9/1943, causò la morte di trecentotrentamila militari e ottantacinquemila civili. La vicenda politica di B. Mussolini si concluse il 28/4/1945, quando venne fucilato dai partigiani. Il suo corpo venne poi trasportato a Milano e abbandonato al ludibrio dei passanti in Piazzale Loreto. Fatti non troppo lontani dovrebbero insegnare il rischio che si corre con l’abito mentale del cortigiano e con l’abitudine di attendere dal deus ex machina o da altre mosche cocchiere la rinascita del Paese. Le ampie deleghe concesse dai cittadini negli anni precedenti hanno consentito legami sotterranei tra potere politico, consorterie oscure, malaffare ed organizzazioni malavitose; hanno prodotto un apparato statale indegno di una nazione civile, lo smembramento delle aziende pubbliche, l’immigrazione clandestina fuori controllo, l’aumento della criminalità a tutti i livelli, la precarietà del lavoro proiettata nel tempo, i salari tra più bassi d’Europa, il regresso qualitativo dell’istruzione scolastica e del SSN, lo sbando di tanti giovani senza futuro, la cattiva salute dei media, sciatteria e protervia legislativa, un sistema giudiziario inefficiente ed, infine, la nascita di un Parlamento eletto dai partiti. È amaro vedere come gli italiani continuino a fuggire dalle proprie responsabilità e a sperare di potersi affidare a qualcuno che possa risolvere i problemi indotti da un modello di sviluppo divenuto sempre più distruttivo. Le strategie di sempre, quelle che adotta chi si sente investito delle decisioni, sono quelle di esasperare le paure per poi cavalcarle o di focalizzare le aspettative delle masse solo su obiettivi di comodo, i quali hanno a che fare poco o nulla con i problemi veri posti dalla situazione oggettiva. In questa realtà che vede, tra l’altro, la dura contrapposizione di due poteri costituzionali, non sono utili i cortigiani. Questi erano figure compatibili con le necessità dei prìncipi rinascimentali, all’interno di una dinamica sociale regolata da un’ordinata gerarchia che imponeva distinti ruoli, ciascuno con le relative competenze e funzioni. Oggi, tali soggetti non servono, se non per rispondere alla nota domanda della favola: “Specchio, specchio delle mie brame, dimmi chi è … “. Oggi, tutti quelli che ritengono indispensabile un cambiamento etico nello sviluppo della società dovrebbero sentirsi chiamati personalmente a realizzare tale mutamento nel profondo del proprio essere. Il tempo a disposizione per rimediare al disastro sta per scadere. Se le deleghe in bianco concesse come cittadini impregnati degli aspetti peggiori del sistema sociale ci hanno portato sull’orlo del baratro, le genuflessioni di capi, sottocapi, capetti, yes man e ruffiani di vario genere, in aggiunta all’indirizzamento mediatico del “bias”, ci faranno precipitare irrimediabilmente sul fondo.
18/8/2008 Antonio Bertinelli