vecchi pensieri 13 (Giustizia da riformare)

Giustizia da riformare

Per i Greci la politica non era un passatempo, né il mestiere di qualche casta particolare. Nell’agorà non si trattavano gli interessi del Popolo con lo sguardo fisso alla poltrona ed il pensiero rivolto ai propri interessi personali. Nell’agorà si discuteva tenendo presente il bene di tutti, non solo quello dei parenti, degli amici e dei finanziatori. Si pensava a tutti e al futuro comune. Negli ultimi trenta anni la politica si è snaturata e poi cristallizzata intorno agli interessi dei partiti, dei suoi attori e di varie lobbies. Ciò che manca oggi è la passione civile; mancano uomini pronti a sacrificarsi per il bene del Paese. Purtroppo l’economia e il denaro sono sempre al centro di ogni azione. L’arricchimento è considerato come il principale segno di distinzione e di preminenza sociale. L’aristocrazia dei soldi è l’unica gerarchia riconosciuta. Il denaro facile costituisce una tentazione a cui pochi resistono. La vita pubblica italiana scorre ormai fluidamente sul doppio binario morale dei vizi privati e delle pubbliche virtù, del predicare bene e razzolare male. Ci viene perfino offerta l’illusione di disporre di potere decisionale, di avere libertà di voto, e lo si fa dopo aver modificato la legge elettorale. Certo che siamo liberi, ma solo di assecondare quello che viene deciso altrove. Gli elettori sono stati letteralmente spogliati della facoltà di scelta dei candidati, affidata invece ai meccanismi interni dei partiti. Anche l’ordine dei giornalisti, con i suoi iscritti, ha sostenuto la legge elettorale che ha permesso ad un gruppo di oligarchi di radicarsi sine die nei gangli dello Stato. Oggi che il Governo minaccia di limitare quella libertà di stampa residua, peraltro da sempre malamente impiegata, l’Usigrai e la Federazione Nazionale della Stampa sostengono la difesa del diritto di cronaca; considerano il DDL sulle intercettazioni un autentico bavaglio; affermano che “le norme proposte affievoliscono il diritto-dovere di informare e travolgono il diritto dei cittadini a sapere”; invitano a “fare sindacato insieme”. Come mai questa richiesta di solidarietà alla mandria? Nel bailamme di questa politica, nel tourbillon dei privilegi, delle mafie e delle scalate corporative che hanno contribuito ad affossare il Paese, sistema Giustizia incluso, è lecito nutrire più di un dubbio. Plutarco ci suggerisce che nel discutere c’è sempre quel qual cosa che non si dice, ma è lì a guidare le idee e i programmi di chi parla. Gli Italiani sono attanagliati da vecchie e nuove inquietudini. C’è la paura delle aggressioni, degli immigrati, delle rapine e dei furti, dell’aumento vertiginoso della microcriminalità, del futuro precario dei figli, del mutuo della casa, del traffico, delle morti sulle strade per abuso di sostanze alcoliche e del rifiuti che appestano l’ambiente. Dulcis in fundo, c’è l’apparato giudiziario ormai in coma. Secondo alcuni, fare della Giustizia il simbolo dei mali del Paese, così come sta tentando di fare il nuovo Governo, è un’operazione pericolosa. Certamente la riforma della Giustizia serve, e nihil est dictu facilius, ma ci chiediamo chi ha titolo a per tirarsi fuori dalle responsabilità connesse all’attuale stato della giurisdizione e chi ha interesse a far funzionare il sistema senza sottometterlo. Lo scempio del Diritto è stato fatto prima nelle sedi parlamentari, poi nelle parrocchie partitiche, in ambiti corporativi e nelle aule dei tribunali. Anche in questo caso ci è stato detto e ci dicono: “lo vogliono gli italiani”, ma nel Bel Paese, il tornaconto personale, l’appartenenza ad un clan, ad una formazione politica o ad una consorteria professionale hanno sempre la meglio sul rispetto per l’interesse collettivo.
L’ordine dei giornalisti ha già tentato di imbavagliare il web preparando un disegno di legge che richiedeva, per ciascun sito, il criterio di un responsabile che fosse un giornalista professionista iscritto all’albo. Tante firme giornalistiche hanno un concetto del tutto personale sia del ruolo dell’informazione che dell’applicazione della Giustizia.
La casta politica, che ha legiferato e legifera affossando il sistema giudiziario, non ha alcun interesse e non trarrebbe vantaggi dalla sua cura, anzi sa che l’inefficienza alla fine paga. Se tutto cammina, il politico ha un potere certamente minore rispetto ad un sistema che zoppica. Se tutto va male può approfittarne, può decidere nel marasma cosa mandare speditamente e cosa bloccare. Questo è il potere aggiunto che si ritaglia ogni giorno, con un piccolo colpo di stato quotidiano, sulla pelle di chi paga le tasse e quindi lo mantiene.
Gli avvocati che, grazie ad un ferreo sodalizio corporativo, si considerano comproprietari e chierici del territorio giuridico, traggono vantaggio dagli inghippi procedurali. La loro parcella è strettamente legata al numero di attività svolte e alla lunghezza della causa, e questo incentivo ha decretato il fallimento di ogni tentativo di riforma del processo civile che ne prevedesse lo snellimento, a cominciare dalla riforma del 1990. Conviene vivere di rendita su poche cause, ma che durino a lungo. Ogni giorno la corporazione degli avvocati, chiede efficienza alla corporazione dei giudici, che è in buona parte interfacciata con l’ANM e con gli schieramenti politici, ma la Magistratura è affetta anche da gravi problemi di organico, diffuse deficienze strutturali ed infrastrutturali. La carenza dei posti in organico è pari al 12% per i magistrati ordinari, al 14% per i magistrati onorari, al 13% per il personale amministrativo ed al 27% per i dirigenti. Dal 1996 ad oggi la pianta organica del personale amministrativo, è stata ridotta di oltre 8000 unità. A colmare la misura delle disfunzioni che si riscontrano lungo l’intera filiera giudiziaria si aggiungono alcuni magistrati corrotti dalla politica e/o dai soldi, al servizio dell’ideologia o di altra committenza. Segnatamente nel primo caso la Giustizia si presenta come sistema autoreferenziale (ne sono esempi le sentenze che riguardano le cessazioni di relazione di coppia, quando il magistrato tende a identificare come antitetico al proprio potere il “potere del padre”, o si perita di fornire aprioristicamente il sigillo della “colpa” al partner maschile). In entrambi i casi di asservimento, questo genere di magistrati persegue e favorisce selettivamente chi vuole, secondo criteri soggettivi che tracimano nell’arbitrio.
Non serve la causa della Giustizia l’informazione pilotata, quella dei silenzi complici o dei processi mediatici. Non aiutano le campagne di stampa organizzate con verità o teoremi predefiniti in sede editoriale. Non serve la causa della Giustizia la politica del perdonismo, dei condoni tombali, degli accorciamenti dei periodi di prescrizione, degli indulti, della farraginosità dei codici, delle leggi fatte per garantire l’impunità ai “colletti bianchi”, ai boiardi della finanza e dell’economia. Non serve la causa della Giustizia la corporazione degli avvocati che, grazie alla sua folta rappresentanza parlamentare, contribuisce in maniera determinante alla complessità e alla cavillosità delle procedure giudiziarie, così da impedire, anche di fatto, l’esercizio dell’autopatrocinio e del diritto di difesa proprio di ogni cittadino. Non servono la causa della Giustizia quei magistrati militanti che sbarazzano i politici di qualche scomodo avversario. Offendono la Giustizia quei magistrati che calpestano le leggi e spacciano la loro parzialità per indipendenza, quelli che fanno notizia (strillata, sterile, inopportuna, o debordante che sia). Offendono i loro stessi colleghi che lavorano nel silenzio, quasi sempre dovuto, di chi applica, rispetta e fa rispettare la legge.
La riforma della Giustizia serve a tutti, ma se l’obiettivo del Governo è di far funzionare il sistema, vanno energicamente disinfettati i luoghi della politica, poi servono più fondi e più personale; la revisione dei codici di procedura per abbattere i tempi dei processi; la revisione del codice penale per aggiornare la distinzione tra i reati “minori” e quelli ritenuti socialmente più gravi; la ristrutturazione delle circoscrizioni giudiziarie; la semplificazione normativa; la facoltà, al posto dell’obbligo di munirsi di un difensore, o comunque di un avvocato; un’adeguata limitazione del potere discrezionale del giudice; un ridimensionamento dell’attività ipertrofica di cui soffre la Corte di Cassazione, a danno della funzione nomofilattica; un cursus honorum strutturato sui meriti e sui demeriti professionali, e non sullo scambio di favori o sulla fedeltà politica del magistrato. Solo dopo questa auspicabile riforma i tribunali si potranno mettere al servizio dei cittadini; potranno finalmente operare con sentenze comprensibili oltre che “in nome del Popolo italiano” anche “per” il Popolo italiano.
Siamo giunti al punto in cui l’uso strumentale della Giustizia, le intercettazioni che finiscono sui media, gli avvisi di garanzia, le detenzioni cautelari pretestuose, il redditizio divorzificio giudiziario, le alzate di scudi corporativi, raggiungono solo il risultato di screditare, oltre ogni ragionevole limite, sia il partito della legalità sia quello della, pur incompiuta, legittimità democratica. Siamo al canto del Cigno. Il persistente diniego di Giustizia, unito all’arroganza di chi occupa pro domo sua ogni pezzo di Stato, sta lentamente facendo tornare in auge la legge della giungla.

27/7/2008 Antonio Bertinelli

Pubblicato da antoniobertinelli

Melius cavere quam pavere

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