Pari Opportunità: multe e arresti per prostitute e clienti
La prostituzione ha sempre caratterizzato ogni cultura, a volte con fasi di splendore, a volte con fasi di decadenza. Non c’è luogo e tempo dove non abbia trovato humus fertile per fiorire in ogni forma: dalle origini sacre della prostituzione sumero-babilonese fino alla commercializzazione odierna. Il nome italiano più antico per definire una prostituta è “lenea”. Nel corso dei secoli se ne sono aggiunti tanti altri: cortigiana, troia, zoccola, prostituta, mignotta, battona, bagascia, sgualdrina, squillo, baldracca, lucciola, e così via declinando di dialetto in dialetto. Nel linguaggio colloquiale, l’uso di ogni termine anzidetto si riferisce alla donna che si concede per ottenere qualche favore o in cambio di denaro. La prostituzione nel mondo è regolamentata giuridicamente in modo ampio e variegato. Del tutto singolare appare la situazione del Giappone, dove la prostituzione “vaginale” è contro la legge, mentre il sesso orale a pagamento è legale.
Nel 1949 l’Onu aveva già impegnato gli Stati membri a punire chi traeva guadagno dalla prostituzione altrui. In Italia, fino al 1958, c’era una folta schiera di persone che viveva di questo antico mestiere. I luoghi autorizzati erano 560, per un totale di 2.700 prostitute. I prezzi erano modesti: ogni prestazione costava da un minimo di 200 £ (2,5 E attuali per 5 minuti in un casino di terza categoria) fino a 4.000 £ (50 E attuali per un’ora in un casino di lusso). Lo Stato italiano, entrato nelle Nazioni Unite nel 1955, rischiava di finire sotto accusa per gli introiti che gli derivavano dalla percentuale sul ricavato delle case di tolleranza. L’esigenza internazionale si sommò alle spinte interne, che puntavano ad abolire la prostituzione legalizzata. Già nel 1948 la senatrice Lina Merlin aveva messo a punto il suo progetto. La votazione decisiva, svoltasi alla Camera il 20/2/1958, ebbe un risultato plebiscitario: 385 sì contro 115 no. La chiusura dei bordelli ufficiali, punire lo sfruttamento, ma non esprimere pareri sulla prostituzione in sé, finita in una sorta di limbo, non più legalizzata ma neppure vietata, furono gli esiti di quella legge. Contro di essa si schierò Dino Buzzati, che arrivò a paragonare la senatrice Merlin ad Erostrato, a cui la leggenda attribuisce di aver appiccato il fuoco alla grande Biblioteca di Alessandria. Indro Montanelli, da illuminato bastian contrario quale era, pubblicò sul tema un famoso libello: “Addio Wanda”. Negli anni che seguirono, la prostituzione, considerata fenomeno ineliminabile, è stata sempre di più vista come comportamento individuale lecito, lasciato alla libera scelta di chi la esercita. L’ampia affermazione delle esigenze delle donne ha garantito anche alle prostitute una totale disponibilità del proprio corpo, riconoscendo loro più ampi diritti personali, rendendole artefici della libera commercializzazione del proprio sesso, imprimendo così una spinta soggettiva ad un mestiere da sempre accettato nella maggior parte delle società. Oggi la situazione è molto diversa. In assenza di case chiuse organizzate, la prostituzione di strada, grazie anche all’immigrazione, è esplosa oltre misura. Ci sono varie angolature da cui si guarda il problema. C’è chi sottolinea il disturbo arrecato nei quartieri dove viene esercitato il commercio e c’è chi guarda alle prostitute come vittime di un sistema che le costringe a deviare: donne schiavizzate dall’uomo che esige la sua parte, l’uomo meschino, il cliente perverso, “er pappa”, uomini che in tutta la questione pensano solo al loro tornaconto.
Gli schiamazzi ed i reati collegati al commercio dei corpi disturbano sicuramente le città, ed andrebbero presi provvedimenti adeguati, ma ci sembra che il DDL ventilato da Mara Carfagna sia frutto di quel neobolscevismo rosa che nega la natura. Ci sembra che sia impregnato di quella stessa logica che fece dire a Valerie Solanas: “Definire un uomo come un animale e fargli un complimento; l’uomo è una macchina, un vibratore ambulante”. Senza schierarsi volutamente pro o contro la prostituzione, ci sembra emblematico il titolo del disegno di legge presentato a suo tempo dalla senatrice Maria Burani Procaccini: “Norme per contrastare l’acquisizione di prestazioni sessuali”. Non vogliamo porre enfasi sulle canzoni dedicate al tema da Fabrizio De André come “Bocca di rosa”, “La città vecchia” e “Via del Campo”, che hanno nella prostituzione uno dei motivi principali; non vogliamo inneggiare a qualche film romantico come “Pretty woman”; per ragioni anagrafiche non abbiamo esperienza diretta dei casini, ma ci sembra che tutti i tentativi di regolamentazione fino ad oggi esperiti si siano avvalsi di dati falsi e/o si siano ammantati di ideologia. E’ mistificante parlare di schiavitù femminile, come è velleitario voler imporre per legge un cambiamento delle specificità sessuali. Gli studi scientifici realizzati in Italia fino ad oggi smentiscono che le prostitute siano tutte “schiave”. Lo sono solo il 7-8% del totale. I risultati degli studi fatti dal PARSEC su incarico di un dipartimento governativo (attuale Ministero delle Pari Opportunità), e per anni riportati sul sito del Governo, vengono sistematicamente ignorati perfino dai politici che discutono della questione, e ciò è quanto meno sospetto. Anche il Censis conferma che la grande maggioranza delle prostitute lo fa per scelta. Questo non vuol dire che il problema della schiavitù e dello sfruttamento debba essere sottovalutato, ma fare di tutta l’erba un fascio è inconcepibile. La prostituzione, lo si voglia o meno, sacralizzata, accettata, tollerata, legalizzata e raramente combattuta, fa parte della nostra storia, e non si la può certamente imputare tout court alle “responsabilità” degli uomini. Forse anche Mara Garfagna pensa che le battaglie femminili passino attraverso un’ulteriore colpevolizzazione del maschio? Il primo dei quattro articoli del suo DDL introduce nel codice penale un nuovo reato: prostituzione di strada e in luoghi aperti al pubblico. La prima volta la prostituta e il cliente pagheranno sanzioni amministrative che oscillano tra i 200 e i 3.000 euro; in caso di reiterazione del reato, oltre alla sanzione tra i 200 e i 1.000 euro, scatterà l’arresto da cinque a 15 giorni. I funambolismi parolai che vediamo riversarsi nel quotidiano ignorano volutamente che la sessualità appartiene alla dimensione inconscia dell’essere umano e non è regolabile per legge, né può conformarsi ai desiderata dell’uno o dell’altro sesso. Forse anche il nostro ministro per le “Pari Opportunità” la pensa come gli abolizionisti del Quebec, dove nel “Manifeste pour l’abolition de la prostitution”, si poteva leggere: “Ne serait-il pas mieux d’éduquer les hommes de façon à ce qu’ils ne perçoivent pas la femme comme un objet de consommation sexuelle, plutôt que d’accepter, voire d’encourager, toutes formes de sexualité, même la plus malsaine, au nom d’une supposée liberté sexuelle?”. Il radicamento storico della prostituzione trova alimento da due bisogni distinti e complementari: quello d’incontrare sessualmente l’altro senza coinvolgimenti affettivi, e quello di concedere il proprio corpo in cambio di denaro o di qualche ambito benefit. Non è con l’ipocrisia o con l’ideologia che si può tutelare la morale pubblica, del resto scesa per altre vie a livelli infimi. La pioggia di provvedimenti per “tutelare” le donne non fa altro che sottolineare e rafforzare il loro perenne stato di minorità. La dignità non si accorda in forza di legge, con pene pecuniarie e detentive. Consentire l’apertura di eros center, come peraltro auspicato recentemente da alcune potenti organizzazioni femministe inglesi in via di revisionismo ideologico, a prescindere da valutazioni morali, contribuirebbe a contenere drasticamente quegli aspetti criminali, pur marcatamente minoritari, che oggi esistono sulle strade.
11/7/2008 Antonio Bertinelli