vecchi pensieri 140 (L’anno che verrà)

L’anno che verrà

Abitudine vuole che alla fine di dicembre si ripercorrano gli avvenimenti e si tracci un bilancio dell’anno appena trascorso. Tv e stampa non mancano all’appuntamento e riepilogano più o meno doviziosamente tutti quei fatti che ritengono degni di nota. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Pochi commentatori rimarcano che, con giochi finanziari o con il sangue, l’establishment globalista ha continuato a perfezionare il controllo di ogni angolo di mondo a detrimento dei popoli e delle sovranità nazionali. Sono ancora di meno quelli che spiegano a chiare lettere perché il 2012 non porterà niente di meglio dell’anno agli sgoccioli. Eppure, senza dimenticare la multiforme soggezione italiana alle politiche dell’Impero, esistono peculiarità domestiche che non spingono ad indulgere nei confronti del “pensiero positivo”, tra le quali la totale inesistenza di meccanismi idonei al ricambio delle classi dominanti e sub dominanti. Persino concorsi e colloqui, che garantivano l’accesso per meriti a carriere ambite, e non solo ai raccomandati, sono diventati rimembranze di un tempo che appare molto più lontano di quanto effettivamente non sia. Ci tornano alla memoria alcune figure scomparse: il direttore dell’ufficio imposte che, per risparmiare i soldi dell’Amministrazione, rinunciava spesso all’auto di servizio  e si spostava con i mezzi pubblici; il capostazione che non lesinava informazioni ed ospitava nel suo ufficio chi aveva perduto l’ultimo treno della notte; il maestro che rimaneva in classe dopo il suono della campana per aiutare qualche alunno duro di comprendonio; il fedele postino che in qualsiasi condizione metereologica faceva giornalmente le sue consegne; il guidatore che, dopo aver danneggiato involontariamente un’auto in sosta, si premurava di lasciare il proprio numero di telefono sotto il tergicristallo. Più che la nostalgia ci opprime la consapevolezza di un trend negativo socio-politico-economico inarrestabile. L’idolatria del denaro ha distrutto il Paese e lo Stato, entrambi nelle mani di lestofanti sciolti o associati con relativo salvacondotto garantito quando dalla legge, quando dalla consuetudine. Chi è fuori dello standard del “così fanno tutti”, chi rigetta l’abito mentale del pirata si trova davanti strade impervie e vicoli ciechi, senza eccezione alcuna. La produzione legislativa dalla fine degli anni 80 ad oggi, quando non apertamente criminogena, ha incoraggiato ogni genere di lesione alla vita collettiva e di strappi al tessuto democratico. Con l’ascensore sociale bloccato, con l’impossibilità di avere una rappresentanza politica che curi gli interessi generali, senza un apparato giuridico e sanzionatorio adeguato alle bisogna è ingenuo ritenere possibile qualunque miglioramento. Va da se che ogni consorteria segua regole specifiche, che ne crei di nuove per rafforzarsi e perpetuarsi. Il nocciolo della questione è estremamente semplice. Il sodalizio degli sfruttatori, che appartengano a questa o a quella casta, intende continuare a spogliare gli sfruttati e non lascia loro vie di fuga. Quando serve arruola e coopta. E’ naturale che galloni e prebende richiedano conformità ai desiderata del sodalizio. Il giornalista è libero quel tanto che consentono i finanziatori del giornale. Il presentatore televisivo è padrone di condurre un programma se non disturba i santuari del potere. Il politico è autonomo fino a quando non difende gli interessi di chi gli ha pagato la campagna elettorale. Il parlamentare è meglio gradito se ricattabile, indagato, pregiudicato e pronto a legalizzare qualunque comportamento illecito. L’ufficiale della finanza sale di grado fino a quando non va a frugare negli affari delle società che gestiscono catene di slot machines. Tizio diventa amministratore di banca se è disposto a concedere un finanziamento a perdere agli amici che lo hanno sostenuto. Più è opaco l’agire di un manager pubblico e più è luminosa la sua carriera. I controllori provengono dalle categorie dei potenziali controllati. Gli imprenditori mandano avanti le proprie aziende se dispongono delle maniglie giuste. Un premier diventa tale se rappresenta qualche potente oligarchia e con il tacito impegno di lasciare gli sfruttati alla mercè degli sfruttatori. Con quello che passa il convento si potrebbe anche pronosticare il ritorno al governo del Cavaliere o di un suo alter ego.

Antonio Bertinelli 31/12/2011

Pubblicato da antoniobertinelli

Melius cavere quam pavere

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