vecchi pensieri 96 (Bastone e seduzione)

Bastone e seduzione

Per la seconda volta, nel volgere di poco tempo, il Capo della Polizia ha stigmatizzato che le forze dell’ordine sono lasciate sole davanti alle gravi tensioni sociali che scuotono l’Italia. Il questore di Roma ha disposto un’indagine per accertare l’identità degli agenti coinvolti nel pestaggio dello studente durante gli scontri di martedì scorso. Il sindaco Alemanno, dimenticando i suoi anni verdi, ha criticato la liberazione dei 23 ragazzi arrestati nel corso dei disordini. il ministro Alfano ha predisposto l’invio degli ispettori ministeriali nel tribunale responsabile di cotanta leggerezza. Intanto alcuni commentatori puntano il dito contro le “provocazioni” ed altri discettano sui modi con cui è lecito manifestare il proprio dissenso. Allo stato dei fatti, e fuori da confortevoli salotti, per le scellerate politiche governative si trovano sostanzialmente contrapposti dimostranti e tutori dell’ordine. Questi, fra l’altro, attraverso il Siulp, il Sap, il Coisp e l’Ugl, sono da tempo in stato di agitazione contro il governo del fare. Sfortunatamente, a causa delle “pecore nere” inclini all’abuso, è meno probabile che chi indossa una divisa possa contare sulla stessa solidarietà riservata a tanti altri lavoratori o agli studenti incazzati. Le discariche avvelenano i territori, i servizi d’interesse pubblico languono e le aziende chiudono. Secondo Confindustria, dal primo trimestre 2008 al terzo trimestre 2010, il numero di occupati in Italia ha registrato una diminuzione di 540mila unità, senza contare le ore di Cig, anche la riforma dell’Istruzione si è concretizzata in una serie di tagli, di licenziamenti e di disservizi. La precarietà si sta diffondendo e, con il passare del tempo, da condizione giovanile, si sta trasformando sempre di più in diffusa condizione transgenerazionale. Da tutto questo prende origine la rabbia. Oggi non è utile discutere sugli infiltrati in borghese, ma con il tesserino in tasca e solo chi sta in mala fede può disconoscere un profondo disagio sociale assimilandolo alle gesta di scriteriati da curva sud. Auto incendiate e teste rotte sono semplicemente i frutti di un clima esasperato. Gli estremismi sono facilmente ed unanimemente condannabili, ma ciò non toglie che le frustrazioni, le umiliazioni, gli stenti, le necessità di chi non riesce più ad avere una vita decorosa e a guardare serenamente al futuro siano diventati un miscela esplosiva. Nessuno si è preoccupato di togliere l’innesco, forse a qualcuno potrebbe persino tornare utile accelerarne la deflagrazione. Chi ritiene che gli eccessi di alcuni manifestanti possano portare ad una limitazione degli spazi di libertà forse non si è accorto di quanto essa si sia sempre più ristretta nel corso di questi ultimi anni. A colmare la misura delle randellate giungono anche le sanzioni amministrative da 2500 a 10300 euro, come quelle recapitate ad alcuni cassintegrati dell’Eurallumina di Portovesme, che lo scorso 11 ottobre hanno manifestato bloccando il traffico in alcune vie di Cagliari. E’ fin troppo facile predicare la moderazione quando si ha la pancia piena e, otturandosi le orecchie, ci si chiude nel Palazzo facendolo poi difendere dai blindati. In determinate circostanze sulla piazza ci finiscono anche i “dementi”, ma non si può ridurre il tutto alla distinzione tra dimostrazioni “buone” e dimostrazioni “cattive”. La realtà quotidiana degli Italiani non si riduce a qualche storia lacrimevole lasciata filtrare tra uno spot televisivo e l’altro, né il disgusto di circostanza dei soliti indignati può portare a cambiamenti sostanziali. Il Paese è ingessato, la politica è arroccata nei comitati d’affari e galleggia sul lerciume. Prima di bacchettare qualche “esaltato” o porsi domande sulle barbe finte e su loschi emissari (impiegati non solo sulle piazze, ma ovunque, da sempre e in certi casi con regole d’ingaggio “deviate”) bisognerebbe chiedersi chi ha destabilizzato il presente e distrutto il futuro tanto da costringere la gente a scendere nelle strade, ad arrampicarsi sulle gru e sui tetti o peggio a suicidarsi. Quello che sta accadendo non si può ridurre alle azioni di pochi facinorosi. Non ha senso rompere la vetrina di un negozio, imbrattare la facciata di uno stabile o danneggiare un’autovettura, ma quando i manifestanti contrastano fisicamente i poliziotti ed applaudono chi respinge i loro mezzi in procinto di entrare a Piazza dl Popolo forse si può cominciare a parlare di rabbiosa consapevolezza. La consapevolezza che si innerva sui mille disagi di un Paese in declino, subordinato al monetarismo dell’Ue, pervaso dal malaffare, indebolito dalle mafie, alla mercè dell’insipienza amministrativa ed in balia degli enormi poteri “seduttivi” di un monarca, divenuto tale non sicuramente per volontà popolare. Le proteste continue, inclusi i tumulti del 14 dicembre, indicano che la cosiddetta rappresentanza politica risponde agli interessi di pochi, e lo fa a detrimento di tutti gli altri. Non è più tempo di semplificazioni, di tifoserie o di condanne verbali. Quello che accade in Italia e in altre città europee ha urgente bisogno di un progetto politico alto. L’indifferenza e la sordità di chi occupa il Parlamento non possono essere ridotti a problemi di ordine pubblico. Ad Atene è stato picchiato un ministro, ma in genere, mentre i veri responsabili della crisi economica pontificano, glissano, raccontano bugie o si nascondono, sono i cittadini più deboli e le forze dell’ordine che si fronteggiano con bastoni, petardi, sassi, fumogeni e manganelli. Insomma sono solo gli stracci a volare per aria. In nome dell’euro e di un’Europa stabile c’è in atto un massacro sociale di dimensioni continentali. La solidarietà di cui parla la Merkel è quella che l’Ue fornisce ai banchieri e agli speculatori. La tranquillità che assicurano i governi è quella dei mercati e della finanza. In tale contesto l’anomalia italiana farebbe volentieri a meno del berlusconismo, delle opposizioni finte, dei voltagabbana e di chi catoneggia sguazzando nei privilegi. Non si può assumere la difesa d’ufficio di quelli che rivoltano i cassonetti e vi appiccano il fuoco. Sarebbe scriteriato fare da sponda alla guerriglia urbana, ma è ipocrita far finta di credere, come fanno i mezzibusti della politica e del giornalismo incollati sulle poltrone dei talk show, che le rimostranze pacifiche abbiano spostato seppur di poco la marcia del duce e dei suoi accoliti. Dall’isola dei cassintegrati al calvario dei tetti, dai lavoratori delle catene di montaggio ai disagi del mondo dell’istruzione, dalle azioni simboliche ai flash mob, dai presidi alle contestazioni, dalle macerie del terremoto abruzzese alle mobilitazioni di Boscoreale e Terzigno, fino alle impalcature della Regione Lazio, le uniche risposte sono state cloroformio televisivo, imperturbabilità e tortòre. Le processioni oranti, così come l’ultima mobilitazione del Pd, non riescono più a svolgere neanche una funzione “liberatoria”. Anziché soffermarsi sui “provocatori d’ordinanza”, prendersela con gli abusi degli sbirri, condannare gli imprendibili black block, infierire sui ragazzi caduti nelle retate postume agli scontri, il fenomeno della piazza fuori controllo dovrebbe costringere tutti a riflettere. I segnali che vengono dal basso dovrebbero essere raccolti e valorizzati. Da circa venti anni, complici i governi, peraltro subalterni ai supremi interessi europei, le nuove generazioni si sentono ripetere che devono dimenticarsi un’occupazione e uno stipendio dignitosi, devono rassegnarsi a vivere nella precarietà complessiva, devono scordarsi un trattamento pensionistico, devono rinunciare ad una casa con prezzi accessibili e alla possibilità di un’istruzione adeguata per tutti. A questo va aggiunta la progressiva cancellazione dei diritti acquisiti in sessanta anni di storia sindacale. La ribellione che cresce, tra l’altro in maniera spontaneamente coesa, non ha riferimenti politici credibili e codesto déjà vu, con buona pace dei similbagnasco, potrebbe rivelarsi come il peggiore dei mali.

Antonio Bertinelli 17/12/2010 

Pubblicato da antoniobertinelli

Melius cavere quam pavere

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