Tercer pais
Per quello che emerge dalla maggior parte giornali e dalla Tv sembra che la crisi economica mondiale non ci riguardi più di tanto. Da come se ne parla e scrive fin da luglio, a rendere insonni le notti degli Italiani, provvede la vicenda catastalmonegasca che coinvolge il Presidente della Camera dei deputati. Eppure si potrebbero raccontare e tentare di risolvere centinaia di storie preoccupanti che riguardano famiglie in difficoltà, realtà produttive che spariscono e, in generale, il declassamento dell’Italia in ambito internazionale. Con l’avallo di questo governo la linea industriale liquidazionista appare ogni giorno più marcata. Ultimamente la foia smantellatrice sta interessando anche Fincantieri, con il settore navale in procinto di rivedere i carichi di lavoro e deciso a ridurre le maestranze. In linea teorica spetterebbe ad ogni esecutivo, per quanto raffazzonato, stilare un piano d’emergenza per garantire l’occupazione in uno dei settori ancora in grado di offrire prospettive di sviluppo al Paese. Invece gli operai che manifestano a Castellamare di Stabia possono ottenere al massimo una comparsata televisiva di qualche secondo diluita nel mare magnum delle chiacchiere fumogene che irretiscono gli habitués del piccolo schermo. Oltre la siepe del berlusconismo c’è il buio con le sue ombre a cui questo Parlamento di nominati non può, né vuole guardare. La più grande forza di “opposizione” si fa specchio del Pdl finanche nel riprodurre internamente tanti sterili “distinguo” sul nulla. Le parole e le divisioni dei maggiorenti pidini sono tanto utili al Paese quanto lo sono i sofismi degli azzimati portavoce di Futuro e Libertà. I primi si industriano, da tempo immemorabile, per omologarsi al peggio, senza mai ritenersi soddisfatti delle loro performances in sintonia con i desideri del padrone. I secondi, da sedici anni corresponsabili di inenarrabili porcate legislative, provano a convincerci che, malgrado il persistente abbaiare, una loro defezione in corso di Legislatura violerebbe il “contratto” sottoscritto con gli elettori. I dirigenti dell’Idv spingono per il ripristino della legalità e si pongono come alfieri dei più deboli, ma debbono fare i conti con i numeri di cui dispone il partito e con alcuni suoi discutibili organigrammi. I grillini potranno ascendere agli alti scranni soltanto in futuro e presumibilmente in quantità omeopatica. La galassia delle formazioni politiche a sinistra del Pd, costituita da almeno otto sigle, rimarrà forse definitivamente fuori delle assemblee legislative. Con l’augurio che l’intera Società Civile riesca a coagularsi intorno ad un nuovo polo, tutto da inventare, sorge il dubbio che il pensiero di Karl Marx non sia proprio “morto” del tutto. Se l’ode funebre al filosofo ha preso le mosse dal fallimento del socialismo reale, fino a diventare una delle ossessioni del principe, la sua declamazione non ha esorcizzato l’incalzare degli eventi. Le strade della ragione, del Diritto, della giustizia e dell’equità sono diventate ogni giorno sempre di più accidentate. Di pari passo è stata profusa a piene mani la pedagogia della prevaricazione. La frase con cui si apre il primo capitolo del “Manifesto”, “la storia di ogni società sinora esistita è storia di lotta di classe”, è ancora la migliore chiave di lettura per interpretare quanto accade in ambito economico. Se si tralascia l’aspetto seducente di certe promesse marxiane non è anacronistico ritenere che il pensatore di Treviri abbia messo a punto uno strumento singolarmente efficace per comprendere anche le aumentate discrepanze della società occidentale. Che si pensi alla lunga teoria di norme giuridiche prèt-à-porter o alla governance dell’economia è di un’evidenza abbagliante riscontrare come la classe egemone “proclami di non avere altro scopo che il guadagno”. Il vaniloquio di regime oscura la realtà e ci sta portando lentamente verso uno sbocco di tipo sudamericano. In base al Pil, il Messico rappresenta la tredicesima economia mondiale. La distribuzione della sua ricchezza è però così dissimile da far riscontrare sia situazioni socio-economiche da primato che altre analoghe a quelle del Burundi. Il marciume, la disuguaglianza e la violenza scombinano la vita dei cittadini, la sensazione d’insicurezza serpeggia ovunque mentre un’élite avida ed impunita si serve della televisione per opprimere o catturare il consenso, formando o deformando la coscienza pubblica. La corruzione guida dall’interno la Polizia e la Magistratura. Il sistema giudiziario permette a delinquenti, narcos, mafiosi e politici di prendersi gioco delle leggi. L’Italia non ha particolari affinità culturali con il Messico ma, per entrambi, sono significativi alcuni tornanti storici. Quando, nel 1947, gli Usa impedirono ai messicani di accedere in tutti i modi ai vaccini contro l’afta epizootica le loro mandrie vennero distrutte dal contagio così tanto da squassare l’ossatura economica del Paese. L’apertura dei mercati nel 1994, con l’entrata in vigore del North American Free Trade Agreement, causò la scomparsa dei profitti degli agricoltori messicani, i quali, di conseguenza, cominciarono a coltivare piante di cannabis e papaveri da oppio, consentendo la proliferazione esponenziale del narcotraffico. La vita politica del Messico è stata praticamente monopolizzata da un unico partito, tra i capi di governo succedutisi si può annoverare anche il Presidente della Coca Cola, Vincente Fox. L’Italia, fin dalla nascita della Repubblica sotto l’ombrello “pane e lavoro” degli Usa, non ha mai goduto di una vera sovranità nazionale. Il suo tracollo definitivo è iniziato con l’esplosione del villaggio globale, con il ritrarsi dello Stato dall’economia e con l’abbattimento delle frontiere doganali. Il premier, fornito illo tempore di sostegni adeguati all’uopo, seppure con corifei dissimulati sotto le più diverse bandiere, ha creato sostanzialmente il suo partito unico, non fa mistero di quanto sia sensibile al proprio business, a quello degli amici, come e più del management di una multinazionale. Le cure praticate dai governanti messicani hanno prodotto il cosiddetto tercer pais, ovvero una grande striscia di territorio dove non esiste il controllo statale sugli investimenti, dove tutto è lecito, dove il profitto e la corruzione non conoscono limiti. Da noi, per cogliere i risultati della terapia messa in atto dai governi, basterebbe collocare, soltanto per qualche giorno, microfoni e telecamere fuori degli acquari curati da Raiset. Per zoomare la ventennale decadenza italiana sarebbe sufficiente ascoltare i “fannulloni” del trio Brunetta-Tremonti-Gelmini, soffermarsi davanti ad una scuola “riformata” o ad un’azienda in crisi, andare sull’isola dell’Asinara, far parlare i ricercatori dell’Ispra o i nuovi esuberi dell’Alitalia, dare voce ai metalmeccanici della Fiat o ai cassintegrati della Fincantieri. Il nostro drogato tercer pais è in attesa della messa a dimora di improbabili ulivi, si distrae con la saga dei Tulliani e, mentre a Terzigno (Na), sommerso dai rifiuti, si consumano scontri tra dimostranti e poliziotti, soggiace ormai persino alle acrobazie verbali di un transfuga per caso.
Antonio Bertinelli 25/9/2010