Onde distorte
Se vivessimo in una condizione naturale la leadership scaturirebbe dalle competenze e dalle attitudini proprie di determinati individui capaci di affrontare e risolvere i problemi della collettività. In simili condizioni il leader, riconosciuto unanimemente come tale, viene ascoltato e seguito perché grazie alle sue caratteristiche garantisce la sopravvivenza del gruppo di cui interpreta le necessità. Questo genere di direzione serve anche per la difesa comune, per superare pericoli e tenere lontane le minacce. Indro Montanelli diceva che la realtà è cinica e chi pretende di plasmarla secondo parametri nobili ed astratti fa solo del facile moralismo. Certo in una società complessa e costruita in gran parte su bisogni indotti non si può esigere che un capo sia audace, saggio, ispirato, generoso, animato da spirito di servizio, ma un leader politico dovrebbe almeno capire cosa vogliono i cittadini, credere in quello che dice, intuire i cambiamenti e stabilire un rapporto empatico con i suoi elettori. Quanti e quali segni distintivi presenta la classe dirigente italiana? Non ci sembra ozioso rilevare che, a prescindere dalle competenze tecniche necessarie ai diversi compiti che sono chiamati a svolgere, quello che accomuna molti leaders è la determinazione ad autoconservarsi traendo dalla posizione occupata ogni vantaggio personale, lasciando poi pagare ad altri le conseguenze delle loro razzie. L’individualismo della società odierna ci rende monadi e recide i legami di interazione che sono alla base delle dinamiche “naturali” di un insieme umano, favorisce la persistenza endemica di capi tanto inutili quanto organici agli interessi di potentati economico-finanziari. Lo stile cambia da soggetto a soggetto e, prendendo per buona la teoria di Max Weber, la leadership vincente è quella condotta da persone che si sentono a proprio agio. Non ci vuole molta immaginazione per capire chi si sente a proprio agio nel pantano italiano, dove i governati debbono soggiacere agli epigoni delle teorie economiche di Milton Friedman mentre i governanti legiferano per assicurarsi di giorno in giorno un’impunità sempre più ampia. Tra i contendenti in lizza per la conquista delle poltrone c’è alternativamente chi vince e chi perde. Invece il Popolo, chiamato ad obbedire senza che i “capi” mostrino mai alcun requisito di autorevolezza, è sempre soccombente. In queste ore ci prepariamo a pagare gli esiti di una sorta di tabula rasa causata dal modello di sviluppo economico abbracciato. Secondo l’assunto di Friedman qualunque disastro (il terremoto dell’Aquila docet) può rivelarsi un colpo di fortuna per dare vita a nuovi affari. Insieme alla manovra economica correttiva del debito, si sta mettendo a punto una serie di norme per silenziare definitivamente l’informazione, ostacolare ulteriormente il lavoro della Magistratura ed implicitamente favorire chi delinque alla grande. Il “risanamento” dei conti pubblici vedrà chiamare in causa le fasce economicamente più deboli e forse anche le famiglie con persone invalide a carico. L’editoria e il giornalismo, già in sofferenza per altri motivi, verranno colpiti con sanzioni pecuniarie insostenibili. Per i disobbedienti è prevista anche la galera. Con la nuova legge in tema di intercettazioni le indagini sul malaffare diventeranno estremamente difficili. Se si guarda alla leadership come strumento per raggiungere l’obiettivo non vi è dubbio che le rappresentanze parlamentari siano adeguatamente stimolate, motivate e coordinate per arrivare a mèta. Peccato che le mire delle compagini di partito non siano per niente in linea con gli interessi ritenuti prioritari dai cittadini. C’è un abuso di comunicazione che sfrutta il predominio mediatico per accreditare il legislatore come soggetto al servizio del bene comune. Se così fosse non ci sarebbe necessità di istruire i celerini ed altre forze dell’ordine così come vengono istruite e mandate in piazza, non ci sarebbe la necessità di imporsi con le menzogne e con la disinformazione sistematica. Se non primeggiasse l’interesse particolare di chi tiene le mani sulla cosa pubblica ci sarebbe un riconoscimento spontaneo di qualunque capo impegnato a realizzare un progetto condiviso dalla collettività. In Italia, travolta prima dalla crisi valoriale ed oggi anche da una grave crisi economica, sia Cesare che i suoi legionari ritengono impudica la libertà, ritengono che gli opinion leaders, i giornalisti e i magistrati siano d’intralcio all’azione di governo. Nelle democrazie moderne l’informazione è per lo più sotto la guida della classe “eletta”. Ciò consente che le risorse comuni possano essere gestite senza eccessivi intralci e con l’acquiescenza delle masse inconsapevoli. L’apparato normativo deve garantire certi privilegi e, nel contempo, l’equilibrio necessario a tenere in piedi il sistema. La politica serve prevalentemente per sorvegliare la mandria. Ma la situazione italiana si differenzia da altre realtà occidentali per più di una ragione. Qui non solo il ceto politico ha consentito che famelici sciami di cavallette spogliassero tutti i campi, ma esso stesso ha gozzovigliato per un ventennio contribuendo a saccheggiare persino i granai. In altri Paesi è ancora possibile additare qualcuno che rappresenti degnamente l’autorità e la dignità delle principali figure istituzionali. In altri Paesi la Giustizia funziona diversamente e chi froda paga davvero pena. In altri Paesi non esistono governi in grado di controllare interamente l’informazione televisiva. In altri Paesi l’editoria “pura”, per quanto possa essere “funzionale a”, fa da argine alle tracimazioni del potere. In altri Paesi non si stanno avviando al suicidio demografico. Si sa che le grandi menti hanno uno scopo e gli altri hanno solo desideri. Dato il contesto c’è da stupirsi se gli Italiani hanno smesso da tempo di desiderare figli?
Antonio Bertinelli 24/5/2010